I ROMANI
IN CINA
di
Alberto Rosselli
Che mercanti romani abbiano raggiunto via mare
l’India, l’Indocina e perfino la Cina è cosa nota da tempo. Si sa infatti che,
tra il I° e il II° secolo d.C., navi onerarie romane salpate dallo scalo egiziano
di Berenice (Mar Rosso) erano solite percorrere con una certa regolarità il Mar
Rosso, giungendo nel porto di Aden che a quel tempo fungeva da cerniera tra il
mondo marittimo occidentale e quello orientale. Da Aden, probabilmente a bordo
di navi locali o indiane, i mercanti romani facevano poi vela, approfittando dei monsoni (il famoso
vento di Ippalo dal nome del navigatore greco che lo scoprì) verso Conchin
(l’attuale Bombay) per caricare spezie e seta. L’esistenza di un sostenuto
interscambio commerciale marittimo tra Impero Romano, India e Cina e la
presenza di mercanti greci e latini a Conchin e in altre località asiatiche è
stata dimostrata dal ritrovamento (in India, ma anche in Cina) di attrezzi,
oggetti e monete romane del periodo di Antonino Pio e Marco Aurelio (II secolo
d. C). Assolutamente ignorata o accantonata
da molti storici, almeno fino a non molti anni fa, era
però l’ipotesi che i romani fossero riusciti a raggiungere l’Impero Celeste non
per mare ma lungo una rotta terrestre (la cosiddetta “Via della Seta”). Si riteneva infatti poco
credibile che, date le enormi distanze e l’ingombrante presenza dell’Impero dei
Parti (forte entità politico-militare quasi sempre in guerra con Roma), si
fosse verificato un contatto di questo tipo. Tuttavia, gli studi più recenti
sull’argomento, cioè su un “incontro”, anche se fortuito, tra civiltà romana e
cinese, sono stati approfonditi con successo da diversi studiosi occidentali
(tra i quali il professor Raffaele Adinolfi, docente di Storia delle
Esplorazioni presso l’Università di Salerno) ed in seguito avvalorati da un
gruppo di archeologi e antropologi cinesi protagonisti, nel 1989 e nel 1992, di
due importanti scoperte. (1)
Il 9 Novembre 1989, una spedizione scientifica
cinese si recò nella regione del Gansu, a Lou Zhuangzi, località situata 400 chilometri
a nord di Lanzhou, riportando alla luce antichi resti lignei e suppellettili di
probabile fattura romana. Non solo. Durante gli scavi, un contadino del posto riferì
agli scienziati la storia di una donna cinese custodiva nella sua abitazione
alcuni antichi e strani rotoli di carta che tuttavia un giorno bruciò per fare
ardere della legna. Sui resti non intaccati dalle fiamme sembra che fosse
riportata un’iscrizione orizzontale vergata in una lingua ignota: CR.S. LEG.ON.
FUIM. Scritta che gli scienziati tradussero in CRASSI LEGIONIS FUIMUS.
Nel 1993, altri residuati, questa volta di
costruzioni, armi ed oggetti di fabbricazione romana risalenti
al primo secolo d.C. vennero ritrovati da un altro gruppo di archeologi cinesi,
in una località del Gansu chiamata Lijian. E successivamente, una équipe di antropologi
inviati da Pechino per indagare sulla scoperta, effettuò approfonditi studi
comparativi sugli abitanti della zona, scoprendo che molti di essi mostravano tratti
somatici tipicamente mediterranei, e che erano soliti praticare la tauromachia
e compiere uno strano rito sacrificale dei buoi di chiara origine romana.
Venne
inoltre scoperto un muro di cinta molto antico di argilla compressa, lungo
oltre 10 metri, alto 1-2 e spesso fino a 3 metri. Secondo le testimonianze
della gente del posto sembra che agli inizi degli anni ‘70, la costruzione si
sviluppasse per circa 100 metri, ma che in seguito fosse stata in parte
demolita per ricavare mattoni. Sempre nel medesimo sito, gli archeologi cinesi
ritrovarono a pochi metri sotto la superficie alcune dozzine di reperti
archeologici: vasellame metallico, calderoni di ferro e brocche di porcellana e
argilla. I contadini del posto riferirono che in passato, durante la costruzione
di alcune fondamenta di alcune abitazioni, era stato rinvenuto del vasellame decorato
con disegni a cordicelle (gli studiosi cinesi ipotizzarono che la datazione di
questi reperti risalisse alla dinastia Han orientale 25 - 220 d.C.) (2). Non lontano dalla muraglia, un
contadino del villaggio di Xinghua disse di avere rinvenuto uno strano arnese
di legno lungo 3 metri, dotato di aste trasversali parallele. Il reperto fu poi
collocato nel Centro Culturale del distretto e gli archeologi che ebbero modo
di studiarlo espressero l’opinione che si trattasse di uno strumento adoperato
dai soldati romani per edificare il muro di cinta formato da giganteschi
blocchi lignei. Avendo notato i particolari caratteri somatici di alcuni
individui del villaggio di Xinghua, gli archeologi della spedizione vollero un
consulto da parte di antropologi che, una volta giunti sul posto, esaminarono
con attenzione un campione di popolazione, scoprendo che effettivamente molti
soggetti mostravano tratti somatici mediterranei, quali naso adunco e orbite
profonde. Tutti questi indizi portarono gli scienziati cinesi
a dedurre che in un lontano passato alcuni soldati romani, molto probabilmente
appartenenti alle legioni di Crasso sconfitte nel 54 a Carre dalle armate dei
Parti, abbiano per vie traverse raggiunto la Cina (il paese dei Seri, come
veniva chiamato) lasciando in loco una discendenza. D’altra parte, notizie
circa un possibile arrivo e stanziamento di uomini mediterranei nel Gansu in
passato era già stato ipotizzato, e in buona parte provato, da più di uno
storico cinese. Rimaneva da vedere se questi uomini bianchi proiettati a
migliaia di chilometri di distanza dalle loro terre di origine fossero
effettivamente romani.
Notizie
circa la sorte dei soldati romani ce le fornisce lo storico cinese Ban Gu,
autore della storia della Dinastia Han Occidentale (206 a.C. - 9 d.C.). Nel 36 a.C. l'imperatore Gan Yen-Shou, dietro suggerimento
del suo ambizioso consigliere Chen-Tang, mosse verso occidente, fino a
raggiungere la città di Zhizhi (l’attuale Dušanbe nel Kazakistan) mettendola a sacco. Secondo il manoscritto di Ban
Gu, i cinesi si trovarono di fronte ad una città circondata da enormi blocchi
di legno e ad un esercito composto da 1.500 soldati bianchi muniti di una
strana corazza a maglie sottili e di scudi circolari. I
cronisti cinesi riportano poi, con dovizia di particolari, l’inusuale vallo
eretto intorno alla città: un classico esempio dell’arte militare romana. I
cinesi riferirono di una duplice palizzata di tronchi appuntiti e di un
profondo fossato verso l’esterno di essa. La relazione parla inoltre di 145
strani e coraggiosi soldati dalle fattezze non asiatiche fatti prigionieri al
termine della battaglia. Questi vennero in seguito deportati nel
distretto di Fanmu (l’attuale Yongchang): località che i cinesi ribattezzarono
con il nome di Lijian termine con il quale essi erano soliti chiamare le terre
occidentali, compreso l’Impero Romano. Secondo informazioni raccolte dallo
storico Ban Gu, gli strani soldati incontrati dalle armate cinesi sembra
appartenessero ai resti dell’esercito di Licinio Crasso che nel 54 a.C. (cioè
18 anni prima) era stato sconfitto dai Parti.
Come
è noto, tra il 58 e il 51 a.C., i triumviri Giulio Cesare, Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso si trovarono impegnati su tre fronti
particolarmente impegnativi: Cesare nelle Gallie, Pompeo in Spagna e Crasso in
Medio Oriente. Desideroso di acquistare una fama analoga a quella dei suoi
colleghi, verso la fine del 55 a.C. Crasso, alla testa di sette legioni per un
totale di circa 45.000 uomini, partì alla volta della Siria con il preciso
scopo di abbattere il potente impero dei Parti e conquistare nuovi, ampi
territori. Dopo alcuni iniziali successi, il 9 giugno del 53, dopo essere stato
abbandonato dagli alleati Armeni, egli venne pesantemente sconfitto dal
generate parto Surena presso Carrae (località del regno di Osroene;
oggi Haran, in Turchia) e
successivamente decapitato da un ufficiale parto chiamato,
pare, Exatre.
Nella
battaglia morirà anche il figlio del triumviro, Publio Licinio Crasso. Dei
40.000 legionari che avevano partecipato alla disastrosa battaglia se ne
salvarono appena un quarto. Ventimila caddero sul campo, mentre altri 10.000
vennero fatti prigionieri dai Parti che, secondo una loro abitudine, li
trasferirono a marce forzate nella parte orientale del loro regno, fino
all’oasi di Meru, in Margiana. Successivamente, nel 20 a.C., l’Impero Romano
concluderà un trattato di pace con i Parti richiedendo invano la restituzione
dei prigionieri superstiti. Questi, infatti, non erano più nelle mani dei
parti, ma dimoravano ormai da tempo, all’insaputa di Roma, in una remota e
sconosciuta regione della Cina.
FINE
(1)
NOTA: Nel 1977, il professore Raffaele Adinolfi diede alle
stampe un libro molto interessante: “I rapporti tra l’Impero Romano e la Cina
antica” (Edizioni Massimo, Napoli) nel quale avanzò alcune ipotesi al riguardo.
Adinolfi seguì le tracce di Mortimer Wheeler, autore de “La civiltà romana
oltre i suoi confini” (Einaudi, Torino 1963) e di J. Innes Miller, autore di
“Roma e la via della spezie (dal 29 a.C. al 641 d.C.)” (Einaudi, Torino, 1974).
(2)
206 a.C.-220 d.C: Alla dinastia Qin
succede quella degli Han,
fondata da Liu Bang con capitale Chang’an presso l’attuale Xi’an (Han
occidentale) e a Luoyang (Han orientale). Il confucianesimo diventa l’ideologia
ufficiale della classe dominante (136 a.C.). È di questo periodo l’invenzione
della carta (105 a.C.). L’impero comincia una politica di espansione in Asia
centrale. Si apre “La via della seta” (114 a.C.) intensificando il commercio
con le province romane dell’Asia Minore.
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