Lo storico Renzo De Felice, alfiere del corretto 'revisionismo' storico.
In Italia nulla di nuovo (o quasi) sul fronte dell'insegnamento della Storia
di Alberto Rosselli
In
un suo articolo (Scuola, la Storia vista
da sinistra e da destra) pubblicato il (lontano) 20 novembre 2000 su Repubblica, ed incentrato sulla denuncia
delle commissioni di supervisione dei testi scolastici di storia promosse
dall’allora presidente della Regione Lazio Storace, l’editorialista Mario
Pirani si trovò costretto ad ammettere che tale iniziativa - paragonata “alla Commissione per la bonifica libraria
fascista del 1938, messa a punto dal regime per mettere all'indice gli autori
di origine ebraica o sgraditi alla dittatura mussoliniana” - non traeva le sue origini dirette che
dal malcostume ereditato dal precedente, e ben più recente, governo di centrosinistra
e, più in generale, da cinquant’anni di dittatura culturale di sinistra. Per
l’esattezza, Pirani accusava l’utilizzo distorto del decreto Berlinguer con cui
si modificavano i programmi di studio e si sceglievano i libri di testo
destinati agli studenti delle scuole medie e medie superiori. E a questo
proposito, il noto commentatore dichiarava che l’intento del ministro
all’Istruzione diessino (cioè quello “di
consentire un approfondimento delle vicende del Novecento oltre la Prima Guerra Mondiale”)
era stato interpretato in modo del tutto scorretto dalle potenti lobby
culturali postmarxiste. Queste, prendendo al balzo l’indicazione ministeriale,
avevano pensato bene di “prolungare ed
allargare l'insegnamento della storia nazionale” fino ad includere cronache
scandalistiche corredate da giudizi parziali su fatti politici e presunti
episodi di corruzione inerenti Tangentopoli e soprattutto Silvio Berlusconi,
accusato di essere entrato in politica per ragioni personali più che civili e
di avere inquinato con la sua presenza i sempiterni ideali ‘metafisici’ della
Resistenza che, come è noto, stanno alla base della nostra Costituzione, almeno
secondo i guru della cultura gauchiste.
Palesando un’innocenza quasi battesimale, Pirani se la prendeva poi di brutto
contro il “sottobosco ideologico della sinistra
italiana”, definendola “una nutrita schiera
di burocrati e pseudo-pedagoghi sindacal-sessantottini, abbarbicata attorno al
ministero della Pubblica Istruzione: combriccola resasi già celebre al momento
del famigerato ‘concorsone’ a quiz e degli esilaranti breviari e circolari, ad
uso dei poveri docenti, che l’accompagnarono”. Un j’accuse, quello di Pirani, avvalorato di lì a poco dall’esplodere
di una nota polemica ingaggiata contro la ‘combriccola rossa’ da uno dei più
insospettabili ed autorevoli storici di sinistra del Ventennio e della
Resistenza, cioè Rosario Villari - presidente della Giunta Centrale degli Studi
Storici e acceso avversario del cosiddetto “Revisionismo storico strumentale”
di cui la Sinistra accusa il centro-destra. Nella fattispecie, Villari aveva
cercato, invano, di opporsi al progetto di affidare la formazione dei docenti
addetti ai nuovi corsi di Storia ad organismi dichiaratamente di parte,
indicando i luoghi più consoni ad approfondire determinati studi nelle
Università, e non, ad esempio, negli Istituti Storici della Resistenza.
Oggi, a distanza di
cinque anni, e quasi al termine della prima compiuta legislatura di centrodestra,
la situazione denunciata da Pirani non sembra essere di molto cambiata, almeno
nella sostanza. Vuoi per la scarsa propensione palesata dal governo Berlusconi
nei confronti di un necessario, se non urgente, rinnovamento culturale
nazionale all’insegna della Verità Storica, vuoi per l’eccessivo basso profilo evidenziato
da molti esponenti dell’intelligenza di centrodestra e di destra, spesso inclini
a rifugiarsi nelle proprie torri d’avorio del sapere, disinteressandosi del
destino di milioni di studenti in balia dei sempre attivi pifferai magici della
gauche che fa Kultur. La verità è che la tanto temuta
manipolazione “reazionaria” della Storia, relativa soprattutto a certi periodi,
primo fra tutti il Novecento, non si è affatto verificata, almeno per quanto
concerne la produzione libraria. Pochi sono infatti i testi nuovi che si
distaccano dall’omologazione culturale di sinistra, senza considerare che in
essi gli autori si sono semplicemente limitati ad introdurre argomenti da
sempre glissati o strapazzati, indispensabili per comprendere correttamente
l’evolversi di fatti che molto hanno inciso sul nostro incerto presente.
Prendiamo, ad esempio, l’analisi delle vere origini del Fascismo, la Guerra di
Spagna, il Secondo Conflitto Mondiale, il periodo resistenziale o di ‘Guerra
Civile” 1943-1945, l’orrore delle foibe accuratamente sepolto per decenni, l’azione
politica, militare ed imperialistica dell’ex-Unione Sovietica e l’ambiguità
democratica dei partiti comunisti europei accecati dai sanguinosi miti
egalitari. Operazioni non revisioniste, ma legate alla necessità oggettiva di una
rivisitazione critica in nome della completezza, avviate, come si è detto, in
questi ultimi anni solo da pochi, onesti e coraggiosi testi di Storia, come Chronos
(edizioni SEI) di Gianluca Solfaroli Camillocci e Mario Farina, per il biennio
scientifico, o Alle radici del domani, di Roberto De Mattei, Enrico
Nistri e Massimo Viglione, in uso in qualche scuola media. Per il resto, tutto come
prima, con gli Elementi di Storia (Zanichelli) di Camera e Fabietti a
farla da padrone nelle scuole superiori, affiancato dallo schierato Storie (edizioni
Nuova Italia) di Paolo Sorcinelli, Daniela Calanca e Doriano Pela, e da una
pletora di altre pubblicazioni sulle quali è forse meglio tacere, considerata
la loro insufficienza contenutistica e il loro intento didascalico-ideologico
mirato. Tutto ciò a dimostrazione dell’infondatezza dell’allarme lanciato dagli
intellettuali marxisti, postmarxisti e cattocomunisti nostrani che – nonostante
la caduta del Muro di Berlino e il fallimento economico, sociale e morale del
comunismo - con la Storia i conti si ostinano proprio a non volerli fare,
aggrappandosi disperatamente ad argomenti di retroguardia come i complotti
della CIA, il golpe Borghese o Gladio, ma sorvolando sui gulag sovietici,
su Pol Pot, sulla strage dei montagnard vietnamiti e dei tibetani, sulle
carceri di Fidel Castro e su altre questioni da essi ritenute secondarie. Ricapitolando,
oggi come oggi - grazie alla pressoché immutata forza ed incisività delle lobbies
burocratiche scolastiche e universitarie, alla loro capillare presenza sul
territorio della cultura e all’appoggio diretto o indiretto fornito da grande
parte del mondo editoriale (con buona pace di Berlusconi) - l’insegnamento
della Storia stenta ad uscire dal tunnel interpretativo di sinistra e ad adeguarsi
agli standard occidentali. Dopo cinque lunghi anni di “regime” di centrodestra,
la Storia continua ad essere insegnata ai ragazzi – salvo eccezioni - sulla
base di letture pregiudiziali o molto incomplete. Alla faccia delle iniziative “golpistiche”
volute da Storace. Quelle che, secondo il parere dello stesso Villari – che è
stato però costretto ad ammettere, bontà sua, “la correttezza di talune
istanze contenute nel Revisionismo in atto, come ad esempio la storicizzazione del
movimento fascista” – negherebbero
attraverso il revisionismo “i valori
fondamentali della nostra democrazia”, dimenticando che, se inteso e
praticato correttamente, il tanto demonizzato revisionismo rappresenta uno degli strumenti fondamentali per fare
luce sulla storia, soprattutto sulle questioni più intricate ed inquinate dalla
politica (come ad esempio la Resistenza) che per decenni sono state semplificate
e manomesse attraverso il filtro del pregiudizio ideologico (come sottolineò il grande storico Renzo De Felice): strumento estraneo
ad una corretta prassi storiografica. La ricerca storica, in quanto analisi logica
del divenire umano, non può infatti avvalersi di tali facili espedienti, pena la
sua definitiva dismissione da scienza a mera prassi funzionale al sostegno di
un’ideologia, ma soprattutto ad un ulteriore, drammatico ed inarrestabile diffondersi
dell’asineria.
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