L’Europa alla deriva. 'Quando il laicismo si fa religione'. (Fonte: Rivista 'Storia Verità', Dicembre 2017).
di Alberto Rosselli
Predomina ormai in Occidente una nuova pseudocultura laicista che
vorrebbe porsi come ‘credo’ universale e autosufficiente, generando un
nuovo costume di vita e una nuova morale. Una cultura per la quale
risulta razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e
calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene
eretta ed imposta alla stregua di un valore metafisico fondamentale ed
intaccabile. Di conseguenza, dio rimane escluso dalla vita pubblica, e
la fede diventa addirittura un optional, anche perché il mondo in cui
viviamo viene presentato quasi sempre come opera e conseguenza della
sola volontà umana, come ‘creazione’ laica nella quale le religioni – ad
esempio, il cristianesimo, il credo europeo per eccellenza - vengono
rappresentati da questa specie di nuovo deismo panteistico ipercritico
alla John Toland (ma fino a che punto gli attuali soloni laicisti sono
al corrente dell’opera del filosofo nord-irlandese vissuto a cavallo tra
il XVII e il XVIII secolo?), come punti di riferimento ‘non culturali’:
concetti superati, superflui, e di intralcio al ‘progresso’.
La
discutibile presa di posizione della Corte europea (tra i cui membri
spicca pure il nome di un giudice turco: fino a prova contraria, non ci
risulta che la Turchia faccia già parte della UE) nei confronti del
simbolo del cristianesimo, cioè, l’abolizione del Crocifisso in nome di
un esasperato anelito laicista, va purtroppo a minare il fondamento
stesso di una Civiltà – non solo di una Religione - quella continentale,
che nel corso dei secoli proprio dal cristianesimo ha tratto valori
ampiamente condivisi da una vasta seppure variegata e talvolta litigiosa
aggregazione di nazioni. In nome del laicismo e del relativismo
filosofico e culturale, la Corte europea ha tuttavia annullato questa
pratica esperienza, sentenziando con grande disinvoltura la presunta
inutilità di uno dei valori fondanti del nostro modo di essere e di
concepire la vita: atto destinato a provocare gravi ripercussioni e,
soprattutto, a creare un precedente a dire poco imbarazzante. In nome di
un multiculturalismo tendenzialmente demagogico che nulla a che fare
con il vero progresso, le forti lobbies laiciste ed atee che largo
potere esercitano all’interno delle istituzioni europee, hanno quindi
deciso (ma – alla luce delle violente e comprensibili reazioni popolari
scatenate - bisognerà vedere se ci riusciranno) di sbarazzarsi di un
simbolo che, aldilà dei suoi significati metafisici, rappresenta la
Storia, o meglio l’anima della Storia di un Continente. Ciò che più
colpisce di questo puerile, ma pernicioso colpo di mano promosso dagli
epigoni di un mal assimilato credo illuminista è e rimane la
superficialità con la quale esso è stato compiuto: superficialità tipica
della mentalità relativista. Ciò che i giudici europei non sembrano
avere colto è infatti la netta distinzione esistente tra due termini, in
senso positivo e negativo: pluralismo e, appunto, relativismo laicista.
Come ebbe modo di sottolineare il 17 gennaio 2003 - nella nota
dottrinale sull’impegno dei cattolici in politica (documento pubblicato
dalla congregazione per la dottrina della fede)- l’allora cardinale
Joseph Ratzinger, in politica il pluralismo è un concetto lecito e
naturale in quanto in relazione alle molteplici questioni ‘politiche’
dibattute non esiste mai una risposta preconfezionata e condivisa, ma,
al contrario, sussistono diverse possibilità di operare su base pratica e
possibilmente etica, mentre il relativismo (in quanto prassi culturale e
filosofica applicata anche alla politica) ha la pretesa di affermare
che non esistendo alcuna verità etica e morale assoluta e vincolante per
la coscienza, le risposte ai problemi possono esimersi dal tenere in
debita considerazione la sfera spirituale dell’individuo, unico artefice
del progresso, della libertà e della felicità. Ora, pur lasciando agli
uomini di Chiesa e di fede ogni giudizio circa la necessità – si veda il
‘caso’ del Crocifisso – di conservare gli elementi fondanti della
tradizione religiosa, ogni individuo non necessariamente di fede- ma
realmente tollerante - non può fare a meno di riflettere circa
l’intrinseca pericolosità di un credo laicista portatore di ‘valori’ che
di fatto vengono imposti con la forza, non ‘offrono’, o lasciano
scegliere. Trattasi, infatti, di una nuova ‘religione storica’ e
contingentista quella neolaicista europea, che è legata unicamente
all’evolversi di un antropocentrismo spinto, svincolato da ogni naturale
anelito e riferimento metafisico e metastorico: una religione
materialista a tutto tondo che, sbandierando il vessillo della
democrazia, tende, paradossalmente, a sopprimere ogni libertà.
Proseguire su questa strada, cioè permettere di continuare a supporre –
come fanno i laicisti – che il vero pluralismo combaci con il
relativismo, significa per l’Europa perdere i fondamenti dell’umanesimo e
della stessa democrazia che, come si sa, si basano sul rispetto di
norme condivise (non soltanto giuridicamente, ma culturalmente) a tutela
della giustizia e della verità. Conseguente, in questo senso (ci si
consenta una breve divagazione: la distinzione tra la laicità
(necessaria, delle istituzioni) e il laicismo, inteso come esasperazione
del concetto ‘storico’ di esistenza: credo ateo secondo il quale i
contenuti morali cristiani debbono essere totalmente esclusi dalla
politica, o dalle istituzioni. Alla luce della sentenza della Corte
europea - sciagurata e paradigmatica (anzi, sintomatica) - non sono
dunque soltanto i religiosi, ma i difensori della Ragione Illuminata
(non illuminista), cioè i laici che hanno a cuore la Tradizione
occidentale a dover scendere in campo. In gioco vi è infatti il futuro
non soltanto economico o sociale, ma morale di un Continente che, nel
corso dei secoli, sui fondamenti della filosofia cristiana ha costruito
le sue alterne - ma in realtà uniche -vere fortune. I valori metastorici
del Vangelo, se ben compresi ed assimilati, rappresentano, infatti,
un’opportunità di crescita morale e culturale, non certo un pericolo per
la democrazia o il progresso. Anzi, essi responsabilizzano e orientano
gli individui, chiarendo dubbi e soprattutto dissipando equivoci
derivanti dalla finta e speculativa contrapposizione tra ragione e
religione. Contrariamente alla cultura laicista per la quale il concetto
di ‘neutralità’ e di agnosticismo coincidono di fatto con un modernismo
ateo incatenato al ‘contingente’ e al banale, anche se ineluttabile,
ciclo morfologico di culture senz’anima che mai potranno trasformarsi in
Civiltà.