domenica 18 marzo 2012

COME “NAVIGARE” DA GENOVA ALLA PADANIA ATTRAVERSO UN CANALE SOTTERRANEO E FARE A MENO DEL TERZO VALICO



 

COME “NAVIGARE” DA GENOVA ALLA PADANIA
ATTRAVERSO UN CANALE SOTTERRANEO E FARE A MENO DEL TERZO VALICO


Svariate e a volte molto curiose sono stati i progetti elaborati da studiosi e ingegneri per risolvere uno dei più gravi problemi infrastrutturali che penalizzano i porti liguri, schiacciati come sono da una catena montuosa che impedisce loro di far fluire verso la Padania e l’Europa centrale un traffico merci in costante crescita. Il primo ad avere pensato a collegare il Mar Ligure con il Po mediante un canale fu Napoleone Bonaparte che il 27 dicembre 1807 appose la sua illustre firma ad uno speciale “bando di concorso” che aveva appunto per oggetto “la costruzione di una via navigabile atta ad avviare le comunicazioni mercantili tra i porti di Genova e Savona e la valle del Po”. Andando a spulciare l’Archivio del Ministero dei Trasporti, è saltata fuori una soluzione decisamente brillante partorita da Mario Garbellini, un eclettico ingegnere genovese, ormai scomparso da tempo, che alla precedente, e a dire il vero, vaga idea napoleonica, riuscì a dare una risposta del tutto concreta. Verso la metà degli anni Sessanta, Garbellini concepì infatti un piano dettagliato per la costruzione di un “doppio canale navigabile sotterraneo di 23 chilometri di lunghezza destinato a collegare l’allora costruendo porto di Voltri ad Ovada e quindi alla valle del Po”. Il progetto, che a suo tempo venne addirittura esaminato dalla Commissione Tecnica del Ministero dei Trasporti e della Programmazione, consisteva nella costruzione di una linea idrografica sotterranea, articolata su due direttrici parallele e contrarie, in grado di fare scorrere al suo interno un traffico continuo di zattere, da Voltri ad Ovada e viceversa. L’opera, che avrebbe comportato, secondo il Garbellini, circa 15 anni di lavoro ed un investimento di 60 miliardi (del 1965) avrebbe consentito di smaltire un traffico complessivo merci di circa 32 milioni e 500 mila tonnellate. Sulle prime, l’idea partorita dalla fervida mente dell’ingegnere genovese (specializzato in idraulica e meccanica) pare che avesse stimolato l’interesse dell’Ilres e di alcuni esperti olandesi e tedeschi di problemi relativi al traffico fluviale, tanto da essere segnalato e discusso, alla fine del 1965, al XXI Congresso Internazionale di Navigazione di Stoccolma e nell’ambito di successivi e analoghi simposi a Londra e a Lisbona. Ma vediamo più dettagliatamente le caratteristiche tecniche e funzionali dell’idrovia sotterranea. Finanziata (pia aspirazione) dallo Stato e da un “pool” di imprenditori e aziende private, la cosiddetta “galleria-canale di valico” sarebbe risultata agevole alle chiatte, nonostante il notevole dislivello altimetrico esistente tra Voltri e Ovada (circa 200 metri), mediante uno speciale elevatore “a conca” (come quelli in uso ad Amburgo e a Heinrichenburg, in Germania), capace di contenere una chiatta lunga 58 metri, larga otto e dotata di una capacità di carico di 600 tonnellate. Con questo elevatore, situato al terzo chilometro dall’ingresso sud del canale, presso Voltri, le imbarcazioni avrebbero potuto superare il dislivello e addentrasi nel tunnel. Le due gallerie-canale avrebbero dovuto avere un diametro di circa 16 metri e sarebbero state collegate tra di loro ogni 500 metri da appositi passaggi. L’intero sistema sarebbe stato ventilato da una serie di pozzi verticali comunicanti con l’esterno. Una volta imboccato il canale sotterraneo, riempito d’acqua per metà (fino a una profondità di circa 3 metri), ogni imbarcazione (delle 90 giornaliere previste), sospinta da un flusso costante di corrente, lo avrebbe percorso alla velocità media di tre chilometri l’ora. La soluzione a due direttrici parallele (una  per l’andata e una per il ritorno) venne adottata da Garbellini per applicare il cosiddetto sistema di movimentazione a “fluitazione”. Facendo muovere l’acqua contenuta nei due canali mediante un sistema di normali pompe idrauliche per un totale di 1.500 CV, installate in testa al tunnel, i natanti avrebbero infatti potuto navigare senza l’ausilio di mezzi motori. All’uscita nord del canale, nell’area transappenninica, era prevista poi la costruzione di un piccolo lago artificiale con funzione di punto di smistamento e di sbarco: in sostanza, un sito portuale in miniatura collegato da una linea ferroviaria ai centri industriali della Pianura Padana. In ogni caso, il progetto Garbellini prevedeva anche la costruzione opzionale di un altro canale, più piccolo, che collegava il lago artificiale al corso del Po. Ma non è tutto. Il sistema di alimentazione idrica del canale ‘underground’, alimentato per circa 21 chilometri dallo sfruttamento delle falde sotterranee, avrebbe potuto trasformarsi all’occorrenza in una vera e propria condotta di drenaggio artificiale nelle viscere della dorsale ligure appenninica, contribuendo, mediante condotte a caduta, a coprire le emergenze idriche stagionali dell’estremo ponente genovese. Ad oltre 40 anni di distanza, il curioso progetto dell’ingegnere Mario Garbellini continua comunque a giacere nelle segrete di un archivio romano, sepolto sotto una montagna di scetticismo e di pregiudizi ideologici. Dimenticavamo: l’ingegnere era un simpatizzate dell’MSI.
 
Alberto Rosselli

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