COME
“NAVIGARE” DA GENOVA ALLA PADANIA
ATTRAVERSO
UN CANALE SOTTERRANEO E FARE A MENO DEL TERZO VALICO
Svariate e a volte molto
curiose sono stati i progetti elaborati da studiosi e ingegneri per risolvere
uno dei più gravi problemi infrastrutturali che penalizzano i porti liguri,
schiacciati come sono da una catena montuosa che impedisce loro di far fluire
verso la Padania e l’Europa centrale un traffico merci in costante crescita. Il
primo ad avere pensato a collegare il Mar Ligure con il Po mediante un canale fu
Napoleone Bonaparte che il 27 dicembre 1807 appose la sua illustre firma ad uno
speciale “bando di concorso” che aveva appunto per oggetto “la costruzione di
una via navigabile atta ad avviare le comunicazioni mercantili tra i porti di
Genova e Savona e la valle del Po”. Andando a spulciare l’Archivio del
Ministero dei Trasporti, è saltata fuori una soluzione decisamente brillante
partorita da Mario Garbellini, un eclettico ingegnere genovese, ormai scomparso
da tempo, che alla precedente, e a dire il vero, vaga idea napoleonica, riuscì
a dare una risposta del tutto concreta. Verso la metà degli anni Sessanta, Garbellini
concepì infatti un piano dettagliato per la costruzione di un “doppio canale
navigabile sotterraneo di 23
chilometri di lunghezza destinato a collegare l’allora
costruendo porto di Voltri ad Ovada e quindi alla valle del Po”. Il progetto,
che a suo tempo venne addirittura esaminato dalla Commissione Tecnica del
Ministero dei Trasporti e della Programmazione, consisteva nella costruzione di
una linea idrografica sotterranea, articolata su due direttrici parallele e
contrarie, in grado di fare scorrere al suo interno un traffico continuo di
zattere, da Voltri ad Ovada e viceversa. L’opera, che avrebbe comportato, secondo
il Garbellini, circa 15 anni di lavoro ed un investimento di 60 miliardi (del
1965) avrebbe consentito di smaltire un traffico complessivo merci di circa 32
milioni e 500 mila tonnellate. Sulle prime, l’idea partorita dalla fervida
mente dell’ingegnere genovese (specializzato in idraulica e meccanica) pare che
avesse stimolato l’interesse dell’Ilres e di alcuni esperti olandesi e tedeschi
di problemi relativi al traffico fluviale, tanto da essere segnalato e
discusso, alla fine del 1965, al XXI Congresso Internazionale di Navigazione di
Stoccolma e nell’ambito di successivi e analoghi simposi a Londra e a Lisbona.
Ma vediamo più dettagliatamente le caratteristiche tecniche e funzionali
dell’idrovia sotterranea. Finanziata (pia aspirazione) dallo Stato e da un
“pool” di imprenditori e aziende private, la cosiddetta “galleria-canale di
valico” sarebbe risultata agevole alle chiatte, nonostante il notevole
dislivello altimetrico esistente tra Voltri e Ovada (circa 200 metri), mediante uno
speciale elevatore “a conca” (come quelli in uso ad Amburgo e a Heinrichenburg,
in Germania), capace di contenere una chiatta lunga 58 metri, larga otto e
dotata di una capacità di carico di 600 tonnellate. Con questo elevatore,
situato al terzo chilometro dall’ingresso sud del canale, presso Voltri, le
imbarcazioni avrebbero potuto superare il dislivello e addentrasi nel tunnel.
Le due gallerie-canale avrebbero dovuto avere un diametro di circa 16 metri e sarebbero state
collegate tra di loro ogni 500
metri da appositi passaggi. L’intero sistema sarebbe
stato ventilato da una serie di pozzi verticali comunicanti con l’esterno. Una
volta imboccato il canale sotterraneo, riempito d’acqua per metà (fino a una
profondità di circa 3 metri),
ogni imbarcazione (delle 90 giornaliere previste), sospinta da un flusso
costante di corrente, lo avrebbe percorso alla velocità media di tre chilometri
l’ora. La soluzione a due direttrici parallele (una per l’andata e una per il ritorno) venne
adottata da Garbellini per applicare il cosiddetto sistema di movimentazione a
“fluitazione”. Facendo muovere l’acqua contenuta nei due canali mediante un
sistema di normali pompe idrauliche per un totale di 1.500 CV, installate in
testa al tunnel, i natanti avrebbero infatti potuto navigare senza l’ausilio di
mezzi motori. All’uscita nord del canale, nell’area transappenninica, era
prevista poi la costruzione di un piccolo lago artificiale con funzione di
punto di smistamento e di sbarco: in sostanza, un sito portuale in miniatura
collegato da una linea ferroviaria ai centri industriali della Pianura Padana.
In ogni caso, il progetto Garbellini prevedeva anche la costruzione opzionale
di un altro canale, più piccolo, che collegava il lago artificiale al corso del
Po. Ma non è tutto. Il sistema di alimentazione idrica del canale
‘underground’, alimentato per circa 21 chilometri dallo
sfruttamento delle falde sotterranee, avrebbe potuto trasformarsi
all’occorrenza in una vera e propria condotta di drenaggio artificiale nelle
viscere della dorsale ligure appenninica, contribuendo, mediante condotte a
caduta, a coprire le emergenze idriche stagionali dell’estremo ponente
genovese. Ad oltre 40 anni di distanza, il curioso progetto dell’ingegnere
Mario Garbellini continua comunque a giacere nelle segrete di un archivio
romano, sepolto sotto una montagna di scetticismo e di pregiudizi ideologici.
Dimenticavamo: l’ingegnere era un simpatizzate dell’MSI.
Alberto Rosselli
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