‘ORO NERO’ LUNGO IL
MEKONG:
UN ‘AFFARE’ CINESE A
RISCHIO TERZI
Altre due tanker cinesi hanno trasferito nello Yunnan
attraverso il Mekong 9.000 tonnellate di petrolio mediorientale raffinato
presso lo scalo thailandese di Chiang Rai: un’ escamotage attuato – come riferisce l’agenzia Xinhua – “per assicurare i rifornimenti alle aree
industriali dello Yunnan e delle province sud occidentali cinesi, senza dovere
correre il rischio di perdere carichi nello Stretto di Malacca ormai infestato
dai pirati”. Secondo le più recenti stime, la Cina importerebbe annualmente
circa 140 milioni di tonnellate di petrolio mediorientale, il 75% del quale
attraverso lo Stretto di Malacca, un tratto di mare che, oltre alla presenza di
numerose flottiglie ‘pirata’, potrebbe un domani risultare ancora più
pericoloso, soprattutto “nel caso di un conflitto con gli Stati Uniti”. Di qui
l'idea di utilizzare l’ampio corso del Mekong che nasce nel Tibet e
attraversa lo Yunnan per poi scorrere per ben 4.880 chilometri
lungo i confini del Myanmar, del Laos e della Thailandia, sfociando - dopo
avere bagnato Cambogia e Vietnam - nel Mar Cinese Meridionale. Attualmente, non
meno di 60 milioni di persone vivono lungo le sponde del fiume dal quale esse
dipendono per l’approvvigionamento idrico, per i trasporti e per la pesca. In
passato la Cina ha tentato più volte di sfruttare economicamente e
unilateralmente questa via, progettando dighe e di impianti idroelettrici lungo
il suo alto corso, provocando violente proteste da parte di Thailandia,
Cambogia e Vietnam, timorosi di vedere eccessivamente ‘manipolato’ o ‘impoverito’ l’importante fiume. Tra una lite
e l’altra, Pechino è riuscita a costruire due sole dighe che, tuttavia, hanno
già ridotto sensibilmente la portata del Mekong, soprattutto durante la
stagione secca. Nel 2004, la Cina ha reso navigabile la parte di fiume posta in
suo territorio, e nel marzo 2006, è riuscita ad ottenere da Myanmar, Laos e
Thailandia il permesso di trasportare
mensilmente, tramite tanker fluviali, un minimo di 1.200 tonnellate di petrolio
raffinato. Ma non è tutto. Lo scorso mese di dicembre, uno dei responsabili del
ministero della Marina cinese, Qiao Xinmin, ha annunciato di volere
incrementare le spedizioni annue di greggio raffinato a 70.000 tonnellate:
progetto che ha messo in allarme diverse associazioni ambientalistiche.
Premrudee Daoroung, direttore della Towards
Ecological Recovery and Regional Alliance di Bangkok, ha osservato
che l’accordo tra Pechino, Myanmar, Laos e Thailandia, “è stato siglato in
segreto, senza preoccuparsi dell’opinione degli abitanti che vivono lungo il
fiume: una decisione che fa ben comprendere chi in realtà detenga il totale controllo
sul Mekong e sulle sue risorse naturali (la fauna ittica, soprattutto),
patrimonio da sacrificare in nome degli interessi economici cinesi e di quelli
degli altri governi della regione”. L’elevato rischio di possibili perdite di
greggio a parte delle tanker cinesi ha allarmato anche Chainarong Srettachau,
direttore della thailandese Southeast
Asia Rivers Network. “Se, disgraziatamente, una petroliera dovesse
affondare o subire una perdita, il suo carico si disperderebbe con rapidità a
valle del fiume, provocando danni enormi e irreparabili”.
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