Il dittatore comunista albanese Enver Halil Hoxha (16 ottobre 1908 – 11 aprile 1985)
La resistenza anticomunista in Albania nel secondo dopoguerra
di Alberto Rosselli
Premesse storiche
In
seguito alla sconfitta della Turchia nella Prima Guerra Balcanica, il 28 novembre 1912 l’ex-possedimento
ottomano di Albania conquistò la sua indipendenza, poi riconosciuta a livello
internazionale nel 1913 durante la Conferenza di Londra. Dopo essere stato
brevemente governato da un sovrano straniero (il principe tedesco Guglielmo di
Wied), nel 1914, in concomitanza con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il
paese venne occupato, fino al 1918, da forze austriache e italiane. Nel
dicembre 1920, l’Albania fu ammessa nella Lega delle Nazioni e nel 1927 il suo
nuovo leader, Ahmed Zogu, esponente dell’aristocrazia terriera, firmò con
Mussolini un trattato di amicizia, proclamando, l’anno seguente, la monarchia.
Dopo diverse vicende, il 7 aprile 1939 l’Italia occupò l’Albania, annettendola.
Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, le formazioni comuniste, guidate da
Enver Hoxha, scesero in campo prima contro gli italiani e poi, dopo l’8
settembre 1943, contro i nuovi occupanti, cioè i tedeschi. Il 29 novembre 1944,
le truppe della Wehrmacht, pressate dalle forze britanniche sbarcate in Grecia
e da quelle sovietiche entrate in Serbia, abbandonarono spontaneamente Tirana e l’intero paese, consentendo di fatto alle forze
comuniste di prendere il controllo del territorio e di avviare un’immediata
epurazione di tutti i leader degli altri raggruppamenti politici che, facendo
parte della ALNA (il movimento partigiano albanese), in qualche modo avevano
anch’essi partecipato alla lotta contro l’invasore germanico.
Molti
esponenti di queste formazioni (sia monarchici che repubblicani) riuscirono
tuttavia a riparare in Italia e in Grecia. Il 10 novembre 1945, Enver Hoxha si
impose di fatto quale unico capo assoluto del regime e primo dirigente del
Partito Comunista Albanese: duplice incarico che venne poi confermato, il
successivo 2 dicembre, attraverso consultazioni elettorali farsa a lista unica.
L’11 gennaio 1946, l’assemblea costituente di Tirana proclamò la nascita della
Repubblica Popolare di Albania, e una delle prime iniziative promosse dal nuovo
governo consistette nell’applicare severe restrizioni alla libertà di movimento
da parte dei pochissimi diplomatici americani e inglesi presenti nel paese e
sospettati “di istigare sollevazioni anticomuniste nel paese”. Di conseguenza,
nell’aprile del 1946, la Gran Bretagna - che dalla fine della guerra manteneva
a Tirana un paio di rappresentanti - comunicò che avrebbe rinunciato ad inviare
in Albania una sua delegazione diplomatica ufficiale. E dal canto loro, nel
mese di novembre, gli Stati Uniti decisero di ritirare i propri incaricati.
Poco più tardi, Londra e Washington – indignate dall’atteggiamento autoritario
e vessatorio di Hoxha - dichiararono a chiare lettere di volersi opporre
all’ammissione all’Onu “di uno stato palesemente antidemocratico come quello
albanese comunista”. E pochi mesi più tardi, le già difficili relazioni tra
l’Albania e l’Occidente, in particolare la Gran Bretagna, ebbero modo di
deteriorarsi ulteriormente. Nel maggio e nell’ottobre del 1946, due gravi
incidenti navali verificatisi nel canale di Corfù (che Tirana rivendicava),
provocati da mine e dal fuoco di batterie costiere albanesi, causarono il
danneggiamento di un paio di unità da guerra britanniche e la morte di 44
marinai (22 ottobre 1946). Ma non si era che all’inizio di una lunga contesa.
Tra il 1946 e il 1949, l’Albania – dietro suggerimento di Stalin - appoggiò la
guerriglia scatenata dai partigiani comunisti greci contro il legittimo governo
di Atene - atteggiamento che rese a dire poco esplosiva la situazione (1). Tra
il 1948 e il 1949, le relazioni tra Albania e Iugoslavia, già particolarmente
difficili a causa delle molte dispute di confine (vedi la questione kossovara),
si interruppero definitivamente in seguito all’espulsione di quest’ultima dal
Cominform.
Tra
il 1948 e il 1952, con lo scoppio della Guerra Fredda, la Gran Bretagna e gli
Stati Uniti, iniziano ad appoggiare, attraverso il SIS e la CIA, diverse
operazioni aeronavali che avevano come scopo l’introduzione in territorio
albanese di agenti anticomunisti ex-appartenenti o simpatizzati dei partiti di
opposizione precedentemente eliminati da Enver Hoxha. Tuttavia, come si vedrà,
tali operazioni si riveleranno un sostanziale fallimento. Nel 1960, in seguito
a vari dissapori, l’Albania arriverà a rompere i rapporti diplomatici con
l’URSS, allacciando nel contempo una stretta amicizia con la Cina di Mao
Tse-tung.
Dopo
l’invasione sovietica della Cecoslovacchia (1968), l’Albania abbandonerà il
Patto di Varsavia e varerà un’intensa politica di autodifesa che, nel corso
degli anni, porterà lo Stato alla bancarotta. Ossessionato da possibili
attacchi da parte della Iugoslavia e delle forze del Patto Atlantico, il
dittatore Hoxha ordinerà, tra l’altro, la costruzione di ben 750.000 tra
casematte e bunker. Nel 1978, i rapporti privilegiati dell’Albania con la Cina
giungeranno anch’essi al capolinea, facendo sprofondare il Paese delle Aquile
in un totale isolamento politico-diplomatico che durerà fino al 1985 quando,
dopo la morte di Hoxha, il suo successore, Ramiz Alia, tenterà di avviare un
cautissimo ma anche confuso programma di liberalizzazione socio-economica e di
apertura verso l’esterno. In seguito alla grande manifestazione di protesta studentesca
di Tirana del dicembre del 1990, il governo sarà costretto a legalizzare i
partiti di opposizione. Pur vincendo le elezioni del 1991, il Partito Comunista
Albanese, ormai minato da profondi mali e dissidi interni, si avvierà, di lì a
poco, verso il totale sfaldamento e alla metà del maggio dello stesso anno, uno
sciopero generale costringerà la compagine a trasformarsi in Partito Socialista
(PSS) e ad unirsi in coalizione con il partito di opposizione dei Democratici
(PDS). Alla fine del 1991, l’Albania, ormai in preda al disordine più totale e
ad una situazione economica disastrosa, verrà sconvolta da una serie di
sommosse che l’anno seguente, dopo 47 anni di potere assoluto, porranno fine
all’era comunista.
Le missioni anglo-americane in Albania 1949-1952
Contrariamente a quanto si verificò negli
altri Paesi precedentemente trattati, per quanto concerne l’Albania, sottoposta
al regime di Ever Hoxha, non è forse corretto fare riferimento all’attività
svolta nel secondo dopoguerra da un vero e proprio movimento di resistenza
effettivamente presente sul territorio (tra il 1945 e il 1952, nel paese
agirono soltanto poche decine di ribelli anticomunisti che alla fine vennero
tutti arrestati e condannati a morte), ma piuttosto ai diversi e spesso vani tentativi
compiuti, tra il 1948 e il 1952, dai servizi segreti britannici e americani,
per introdurre nel paese patrioti albanesi disposti a lottare per strappare il
potere al leader Hoxha. Come si vedrà, lo scopo di queste sfortunate missioni
fu proprio quello di inoculare nel paese germi insurrezionali e per creare i
presupposti di una rivolta armata contro una delle più feroci dittature
comuniste e atee del secondo dopoguerra. (2)
Ma
come si è detto, quasi tutti i tentativi promossi dai servizi segreti anglo-americani
andranno incontro ad una serie di disastri, sfociando nell’arresto e nella
condanna di quasi tutti gli infiltrati. Nel 1952, i tribunali albanesi, al
termine di sbrigativi processi, manderanno infatti al patibolo circa 300 tra commando, basisti e simpatizzati,
inducendo Londra e Washington ad interrompere qualsiasi iniziativa. Già nel
marzo 1951, con il preciso scopo di sventare qualsiasi tentativo di
penetrazione da parte di “agenti reazionari al soldo dell’imperialismo
occidentale”, il regime albanese renderà ancora più ferree le sue misure di
sicurezza atte a garantire l’integrità del
territorio nazionale. Nel settembre 1952, l’Assemblea del Popolo varerà
un nuovo e (se possibile) ancora più duro codice penale contenente, tra le
varie disposizioni, una legge attraverso la quale poteva essere applicata la
pena capitale “nei confronti di qualsiasi cittadino di età superiore agli 11
anni ritenuto colpevole di cospirazione contro lo stato o di danneggiamento di
proprietà pubbliche”.
Nel
tardo autunno 1944, dopo la ritirata delle truppe tedesche dall’Albania, le
varie fazioni partigiane che avevano contribuito - grazie anche all’appoggio
dell’esercito e dei servizi segreti britannici - ad accelerare la liberazione
del paese, entrarono subito in lotta tra di loro, e in questo breve ma cruento
scontro, il movimento comunista riuscì a prevalere, anche in virtù degli aiuti
forniti dall’amico-nemico Tito. La nuova situazione venutasi a creare nel Paese
delle Aquile mise in serio allarme il governo inglese che, avendo avuto modo di
rapportarsi con il leader marxista durante il periodo della resistenza
antitedesca, si rese conto che - data la natura e i programmi del suo nuovo
governo - l’Albania si sarebbe potuta trasformare in una minacciosa base avanzata
sovietica sul Canale di Otranto e sul Mediterraneo. Questa considerazione, per
nulla peregrina, indusse quindi la Gran Bretagna ad imbastire, attraverso il
SIS, un piano per destabilizzare in qualche modo il regime di Tirana divenuto
ormai troppo pericoloso. Non essendo in grado di sostenere da sola un impegno
così oneroso, nel 1947 Londra decise di coinvolgere l’amministrazione di
Washington che, nel frattempo, dopo essersi resa conto della vera natura dei
regimi comunisti, stava anch’essa correndo ai ripari. Il 12 marzo 1947, il
presidente Harry Truman aveva infatti enunciato quella che sarebbe passata alla
storia come la sua Dottrina. Come è noto, con questo documento presentato al
Congresso, il presidente dichiarò la ferma volontà degli Stati Uniti nell’adoperarsi
per “tutelare gli interessi di tutti i popoli liberi minacciati da minoranze
armate o da nemici esterni”. A dimostrazione del rapido cambiamento in corso
dei rapporti tra Occidente e mondo comunista e della ferma presa di posizione
americana, il 21 ottobre 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
incaricò una speciale commissione per indagare circa l’attività sovversiva
(denunciata da Washington e Londra) dei ribelli comunisti greci di Markos, e
delle forze straniere che li appoggiavano. E abbastanza facilmente e
rapidamente, la commissione poté appurare che le forze di Markos godevano
effettivamente dell’appoggio dei governi albanese, bulgaro e iugoslavo.
Ovviamente, L’Urss e i suoi alleati - che non avevano preso parte ai lavori
della commissione - protestarono con vigore, negando qualsiasi responsabilità
da parte dei governi di Tirana, Sofia e Belgrado che all’epoca manteneva ancora
buoni rapporti con Mosca.
Nella
convinzione che il blocco sovietico fosse comunque intenzionato a proseguire
nella sua politica di espansione, nell’ottobre 1948, in Inghilterra venne
creato un particolare organo dipendente dal Foreign Office: il cosiddetto
“Comitato Russia”, al quale venne affidato il compito di pianificare e
coordinare apposite contromisure atte a contenere la “politica aggressiva
dell’Unione Sovietica e dei suoi paesi satellite”. Fino dalle prime riunioni,
il Comitato si pose come obiettivo anche quello di coinvolgere direttamente i
servizi segreti statunitensi, già al lavoro, dietro direttive di Truman,
nell’elaborazione di una nuova strategia anti-comunista, quella della “risposta
elastica”. I membri del “Comitato Russia” ebbero modo di esaminare per la prima
volta del caso Albania nel corso della riunione del 25 novembre 1948, convocata
per studiare i metodi e le tecniche più adatte per combattere la Guerra Fredda
ormai in atto. Al termine del meeting - al quale parteciparono alte sfere del
Foreign Office e della diplomazia britannica tra cui Gladwyn Jebb, Ivone
Kirkpatrick, Roger Makins, William Hayter, Robin Hankey e Frank Roberts e il
comandante dell’Aeronautica Lord Tedder - venne tracciata, seppure a grandi
linee, una prima bozza di programma comprensiva, tra l’altro, di un piano
inerente “lo studio per l’attuazione di eventuali azioni di sostegno ai
movimenti politici albanesi in esilio”. Piano che avrebbe dovuto coinvolgere
tutti i leader dei partiti albanesi fuggiti nel 1945 in Occidente, e che in
seguito avrebbe riscontrato anche il consenso dei servizi segreti statunitensi.
Dopo
avere contattato i tecnici del SIS circa l’opportunità e la fattibilità di
simili operazioni, il Comitato optò per il trasferimento, mediante mezzi
navali, in territorio albanese di agenti autoctoni in modo da creare in loco un
primo nucleo resistenziale. Fino dall’inizio, il programma si rivelò tuttavia
molto difficile da realizzare in quanto gli esponenti dei partiti democratici e
monarchici albanesi in esilio contattati allo scopo dimostrarono subito una
scarsissima coesione di intenti e, come se non bastasse, un’accesa quanto
perniciosa litigiosità interna. Nella primavera del 1948, la maggior parte dei
leader della resistenza monarchica
(fedele a re Zog a quel tempo in esilio in Egitto) e della fazione dei Balli Kombetar,
risultavano inoltre disseminati in svariati paesi. Midhat Frasheri si trovava
in Turchia, Abas Ermenji in Grecia, Said Kryeziu e Abas Kupi (con il quale gli
inglesi avevano già collaborato durante la guerra) in Italia. Mentre al
contrario, nei campi profughi della penisola italiana (Santa Maria di Leuca,
Roma-Cinecittà, Barletta e Reggio Emilia), si trovavano concentrati centinaia
di rifugiati albanesi, molti dei quali disposti a continuare a lottare per la
libertà del proprio paese. Dopo molti, faticosi tentativi, gli inglesi - che
nel frattempo avevano ottenuto l’appoggio, soprattutto finanziario, di
Washington - riuscirono a stabilire un’intesa di massima tra i vari esponenti
politici, potendo così dare inizio alla seconda fase del piano, quella
concernente l’addestramento di un primo contingente di volontari albanesi da
trasferire segretamente a Malta (base operativa prescelta dal SIS) e
successivamente in Albania.
Il
23 settembre 1949, in seguito all’annuncio del presidente Truman e del primo
ministro inglese Attle relativo all’avvenuto primo esperimento nucleare
sovietico, la politica delle “contromisure” anglo-americane nei confronti dei
paesi del blocco comunista (primo fra tutti l’Albania) subì un’improvvisa
accelerazione. Anche perché i servizi segreti di Londra e Washington iniziarono
a temere che Mosca fosse intenzionata ad installare proprio a Valona (dove
erano già presenti alcuni sommergibili russi) alcune rampe di lancio per
speciali missili (realizzati dagli scienziati russi sulla base di progetti
tedeschi) dotati di testate chimiche o addirittura nucleari.
Il
14 settembre 1949, il Dipartimento di Stato presentò al National Security
Council un rapporto segreto di 21 cartelle sulla politica che gli Stati Uniti
avrebbero intrapreso nei confronti dei paesi satellite dell’Unione Sovietica,
primo fra tutti l’Albania. E la prima operazione pianificata ed organizzata dal
SIS britannico poté avere inizio il successivo 1° ottobre, quando una
apparentemente innocua goletta da 43 tonnellate, la Stormie Seas, (governata dagli agenti britannici Sam Barclay e John
Leatham), si spostò da Malta ad Otranto, trasferendo in Albania una decina di
volontari albanesi (chiamati in gergo “i folletti”) appartenenti a svariate
formazioni politiche. Il commando (che
era stato precedentemente sottoposto ad un rapido ciclo di addestramento da
ufficiali che avevano militato nel SOE, Special Operations Executive) venne
equipaggiato con divise inglesi senza mostrine, pistole mitragliatrici MP38 e 40 tedesche,
munizioni, viveri, acqua, medicinali, volantini di propaganda, fotografie di
leader albanesi in esilio e una radio alimentata con un ingombrante generatore
a pedali. Dopo un fortunoso sbarco notturno, svoltosi nei pressi di Durazzo, la
pattuglia riuscì a penetrare nell’entroterra, avviandosi verso una zona
montuosa scelta quale zona operativa. Tuttavia, dopo neanche due giorni di
marcia, il gruppo venne individuato dalla polizia albanese preventivamente
allertata dal controspionaggio di Mosca, a sua volta messo al corrente della
missione inglese dalla spia Philby. Questa prima operazione di intruding in territorio albanese si
tradusse in un quasi completo fallimento. E a stento, pochi commando albanesi, braccati dalle forze
comuniste, riuscirono, al termine di una lunga e difficile fuga tra i monti, a
guadagnare il confine greco. Ciononostante, gli anglo-americani non si diedero
per vinti, e continuando a non sospettare circa la straordinaria permeabilità
dei propri servizi segreti, intensificarono i loro sforzi. Nell’autunno 1949,
Ad Hohenbrunn, presso Monaco di Baviera,
venne allestito un vero e proprio centro di addestramento per i
volontari albanesi destinati a nuove missioni. E al termine di un’attenta
selezione, le reclute migliori (gran parte delle quali provenienti dai centri
profughi italiani) vennero inquadrate in uno speciale reparto, chiamato in
codice Compagnia 4000, affidato alle
cure del colonnello americano F. H. Dunn.
All’inizio
del 1950, nonostante una certa riluttanza da parte dell’OPC (l’Office for
Policy Coordination, organismo preposto all’organizzazione di atti sovversivi
nelle nazioni europee in rapporti di non amicizia con gli Stati Uniti), il
Programma Albania subì una nuova spinta, anche grazie all’elargizione di nuovi
fondi statali e al conseguente inoltro in a Dachau di altri ufficiali ed
esperti ai quali sarebbe spettato il compito di “svezzare” con maggiore cura e
rigore gli ormai 250 volontari albanesi fatti convergere nel campo tedesco. Nel
frattempo, i tecnici del SIS britannico si erano messi al lavoro anche per
studiare metodi alternativi e meno rischiosi per fare giungere per via aerea e
in maniera anonima in Albania (ma anche in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria,
Romania e Ucraina) materiale propagandistico anticomunista. Dopo avere valutato
diverse soluzioni, gli esperti del SIS optarono per l’utilizzo di particolari
palloni aerostatici, assai simili ai famosi balloon
bombs adoperati, tra il novembre del 1944 e l’aprile 1945, dai giapponesi
per cercare di colpire, con piccole cariche incendiarie, le coste statunitensi
del Pacifico. Per la cronaca, questi singolari palloni vennero lanciati a
migliaia, sfruttando le correnti di alta quota che dalle coste asiatiche
orientali soffiano con regolarità verso la costa occidentale del continente
nordamericano. Il primo lancio di involucri aerostatici, contenenti manifestini
inneggianti alla rivolta contro Enver Hohxa, venne effettuato il 17 settembre
1950 da una piccola imbarcazione civile appartenente ai servizi segreti di Sua
Maestà. L’unità salpata, almeno così sembra, dalle coste pugliesi, entrò in
azione a poche miglia dalla costa albanese. Pur essendo riuscita a lanciare con
il favore dell’oscurità e della brezza tutti gli involucri e sebbene buona
parte dei palloni giungesse poi a destinazione, questo curioso espediente non
diede i risultati sperati, in quanto nei giorni che seguirono le forze di
polizia di Tirana riuscirono ad individuare ed eliminare la quasi totalità dei
palloni caduti a terra.(3).
Sempre
nel settembre 1950, i britannici tentarono un’altra missione di penetrazione nel Paese delle Aquile, ma anche questa
volta con risultati disastrosi, sia per l’intensa sorveglianza del territorio
da parte delle forze governative, sia per lo scarso coordinamento tra i gruppi
impiegati, sia per il fatto che anche i cittadini albanesi più insofferenti nei
confronti della dittatura di Hoxha non sembravano affatto disposti a muoversi e
ad unirsi a gruppi di patrioti così esigui. Effettivamente, la sporadica
comparsa di poche decine di guerriglieri, armati ed equipaggiati in modo leggero,
non poteva certo indurre un popolo, già sufficientemente terrorizzato da un
regime spietato come quello di Tirana, ad intraprendere una lotta che, date le
premesse, appariva non soltanto pericolosa, ma addirittura disperata.
Dopo
avere tentato di introdurre via terra, attraverso il confine greco
nord-occidentale, altri “folletti” albanesi, gli inglesi decisero di ritornare
ad agire secondo le tecniche adottate dal SOE durante la Seconda Guerra
Mondiale, e cioè con mediante l’utilizzo di mezzi navali. E fu così che, grazie
al sostegno finanziario statunitense, un’altra piccola imbarcazione civile (l’Henrietta) effettuò un nuovo ciclo di
traghettamenti notturni. Ma anche il ritorno al vecchio sistema non fece
comunque ottenere migliori e più incoraggianti risultati. A questo proposito va
ricordato che già nella primavera del 1950, l’OPC aveva già preso in esame, per
le stesse missioni di intruding,
l’utilizzo di aerei da trasporto da fare decollare dalla Grecia. E alla luce
dei modesti se non del tutto negativi risultati conseguiti, alla fine anche gli
inglesi decisero di tentare, assieme ai colleghi americani, la via dei cieli.
Nella fattispecie, non potendo fare conto su piloti ed equipaggi statunitensi o
inglesi, i servizi occidentali optarono - come avevano già fatto per le
precedenti operazioni condotte su Paesi Baltici, Polonia, Romania e Ucraina -
per l’impiego di un gruppo di piloti polacchi e cecoslovacchi, tra i quali il
colonnello Roman Rudkowski che – come abbiamo già avuto modo di dire – sia durante
le ultime fasi del secondo conflitto mondiale, sia nell’immediato dopoguerra si
era reso protagonista di brillanti operazioni in Polonia e in altre zone
dell’Europa orientale sotto controllo sovietico.
Nella
base anglo-americana di Wiesbaden, i guerriglieri albanesi vennero quindi
sottoposti da ex-ufficiali del SOE e dell’OSS ad un nuovo, intenso ciclo di
addestramento al lancio con il paracadute. Poi, verso la metà di ottobre del
1950, sedici “folletti” tratti da un gruppo composto da circa un centinaio di
uomini, vennero trasferiti a bordo di un aereo americano su un campo situato
nei pressi di Atene. E il 10 novembre, dieci commando vennero caricati a bordo di un quadrimotore statunitense
(probabilmente un Boeing B29, anche
se alcune fonti parlano di un bimotore Douglas C47) ai comandi del colonnello
Rudkowski. Dopo un primo tentativo andato a vuoto (l’aereo non riuscì ad
individuare la zona di lancio), il 19 novembre, il gruppo venne paracadutato su
un’area ritenuta idonea, ma comunque molto distante da quella prestabilita.
Subito dopo il lancio degli agenti, l’equipaggio polacco si premurò di
“bombardare” una vasta zona con migliaia di manifestini propagandistici. Una
volta atterrati, i commando si
accorsero però con terrore che tutta la zona pullulava di forze di polizia
governative. Svanito l’effetto sorpresa, ai “folletti” non rimase altro che tentare una rapida fuga in direzione del
confine greco: ritirata nel corso della quale alcuni di essi caddero nelle mani
dei gendarmi albanesi. Immediatamente trasferiti a Tirana, i patrioti vennero
in seguito processati e condannati a morte. I pochi scampati al disastro
riuscirono, dopo una marcia di quasi 150 chilometri, a raggiungere il confine
settentrionale ellenico.
Nel
1951, gli anglo-americani si intestardirono con altri lanci, accompagnati da
alcune operazioni di infiltrazione terrestre attraverso il confine greco, ma
ancora una volta essi andarono incontro ad una serie di cocenti delusioni.
Anche perché la spia Philby, comodamente allocata a Washington, continuava ad
informare regolarmente i suoi superiori di Mosca circa tutte le operazioni in
programma. Nella primavera del 1951, il battello inglese Henrietta, proveniente dalla base di Malta, sbarcò in Albania altri
due gruppetti di guerriglieri, e il 20 di luglio gli americani trasferirono dal
campo di addestramento di Heildelberg ad Atene un nuovo contingente di 16 commando che, tre giorni più tardi,
venne paracadutato sul suolo albanese con esiti, tanto per cambiare, pessimi.
La totalità degli uomini venne infatti catturata o uccisa dai poliziotti
albanesi.
Il
25 ottobre 1951, i vertici dei servizi statunitensi e britannici coinvolti
nelle operazioni in Albania si riunirono a Roma per discutere nuovi piani e per
esaminare gli errori commessi in fase organizzativa ed operativa. E al termine
del meeting venne stabilito che l’unico sistema che valeva la pena di
perfezionare rimaneva quello aereo, seppure prestando una maggiore attenzione
alla quota prescelta per i lanci e soprattutto all’esatta ubicazione delle zone
da “centrare”. Nel febbraio 1952, i “folletti” albanesi vennero trasferiti
nella base di Chagford, nel Devon, per essere sottoposti all’ennesimo ciclo di
preparazione. E nel corso dello stesso anno essi vennero lanciati allo
sbaraglio. Sulle prime, ai servizi anglo-americani sembrò che la nuova missione
avesse finalmente ottenuto un qualche positivo risultato, anche perché per
tutta l’estate del 1952 le stazioni radio del SIS e della CIA ricevettero
regolari messaggi in cifrato dai gruppi paracadutati nelle zone di Shehu,
Branica e Prenci, nell’Albania centrale. In seguito, però, gli americani
vennero a sapere che, in realtà, tutti i commando
albanesi erano stati catturati e che gli agenti del Sigurimi, coadiuvati da specialisti sovietici, erano riusciti anche
a mettere le mani sulle apparecchiature radio e sui cifrari, trasmettendo in
Occidente, per ben 18 mesi, notizie false e depistanti. Finì così, in maniera
quasi tragicomica, il tentativo anglo-americano di fomentare una rivolta anticomunista
in Albania.
Note all’Albania:
(1) Nell’ottobre del ‘44
Atene venne liberata dagli inglesi e nella capitale si insediò un governo di
unità nazionale, di cui facevano parte anche i comunisti, presieduto dal
socialdemocratico Jeorjios Papandreu. (1888-1968) Il
governo ebbe però vita brevissima, in quanto il 3 dicembre i comunisti
indissero una manifestazione di piazza che degenerò in scontri di tale gravità
da costringere le truppe britanniche ad intervenire molto energicamente. Nel
tentativo di giungere ad una mediazione, il governo di Londra favorì in qualche
modo la nomina a reggente della Corona dell’arcivescovo Dimitros Damaskinos
(1889-1949), ecclesiastico molto amato dalla popolazione. E nel febbraio del
‘45, il governo greco rappresentato da un nuovo esponente della sinistra, il
generale Nicholas Plastiras (1883-1953), raggiunse un accordo con i comunisti
dell’ELAS. In base a questa intesa, Atene avrebbe proclamato un’amnistia per i
reati politici, indicendo elezioni politiche da svolgersi sotto controllo
internazionale e, successivamente, un referendum istituzionale. Queste intese
vennero tuttavia sabotate da Stalin che fece mancare la sua partecipazione
quale membro della commissione di controllo per le elezioni, che tra l’altro
vennero boicottate anche dai comunisti. La consultazione elettorale, che
evidenziò appena il 10% di astensioni, vide la vittoria dei populisti di destra
e dei liberali. Il successivo referendum istituzionale diede poi la vittoria
alla monarchia, anche se da parte dell’opposizione non mancarono le denunce di
brogli.
A quel punto, i
comunisti, già da tempo organizzati in bande armate, si arroccarono nelle
regioni montuose del nord, scatenando la guerriglia ed ottenendo l’aperto
sostegno di Iugoslavia, Bulgaria e Albania, che le potenze occidentali
denunciarono come paesi aggressori. Va notato che oltre alla componente
ideologica, la guerra civile greca ne ebbe una anche etnica. Circa il 30% dei
combattenti comunisti era infatti macedone di lingua slava. Lo scontro tra comunisti
e forze del legittimo governo greco fu molto duro e caratterizzato da episodi
di grande ferocia. I comunisti
arruolarono con la forza molti giovani contadini e non esitarono perfino
a prendere in ostaggio e sequestrare migliaia (ben 25.000, secondo la Croce
Rossa Internazionale) di bambini e neonati che vennero successivamente
deportati in Iugoslavia, Albania e Bulgaria “per farne buoni comunisti”. La
guerra si sarebbe potuta prolungare ulteriormente se gli Stati Uniti non
fossero intervenuti. Gli americani, infatti, rimisero rapidamente in sesto il
paese, ormai alla fame, con massicce quantità di generi alimentari e di
medicinali e con molteplici aiuti finanziari al sostegno dell’economia
nazionale. E fu così che il governo greco e il giovane re Paolo riuscirono a
ritrovare una maggiore saldezza, mentre al contrario i comunisti incominciarono
a patire un notevole affanno. Nel 1948, la rottura fra Stalin e Tito, portò poi
alla sostituzione del comandante Markos Vafiades con il più docile Nikos
Zachariadis, già segretario del KKE
(Partito comunista Ellenico) e alla sospensione degli aiuti forniti
dalla Iugoslavia ai ribelli: evento che contribuì, l’anno seguente, a fare
desistere dalla lotta i guerriglieri.
(2) Subito dopo la presa
del potere, Enver Hoxha intraprese una spietata persecuzione nei confronti di
qualsiasi forma di credo religioso: persecuzione che culminerà nel 1967,
allorquando il dittatore dichiarerà Albania il “primo paese ateo del mondo”.
Fino a questa data, il leader aveva provveduto a chiudere o distruggere 2.169
tra moschee e chiese ortodosse e cattoliche. Nel 1945, il 65% della popolazione
albanese era di religione musulmana (in prevalenza sunnita), il 25%
greco-ortodossa, il resto cattolica. Anche se va ricordato in passato, prima della
conquista turca del XIV secolo, l’Albania era un paese a quasi assoluta
maggioranza cristiana. Dalla seconda metà degli anni Quaranta alla fine degli
anni Cinquanta, il governo di Tirana imprigionò la quasi totalità dei 200
sacerdoti cristiani presenti nella regione, fucilandone 31 e condannandone al
carcere duro tutti gli altri. Sorte che toccò anche a quattro alti prelati. Il
principale testimone della persecuzione fu il vescovo ausiliare di Scutari, Zef
Simoni, che dopo essere sopravvissuto a 12 anni di prigionia, scrisse una
dettagliata memoria sull’argomento.
(3) Tra la fine degli anni
Quaranta e l’inizio dei Cinquanta, aerei americani (probabilmente Douglas C47) effettuarono diversi lanci
di manifestini e di materiale propagandistico sia in Albania che, almeno così
sembra, in Polonia e in Ucraina.
Bibliografia all’Albania
- Stavro Skendi, ed., The Albanian
National Awakening, 1878-1912 (1967)
-
Nicholas Bethell, La
Missione Tradita, Arnoldo Mondatori Editore, Milano 1986
-
Anton Logoreci, The Albanians: Europe’s Forgotten
Survivors, Victor
Gollancz, London
1977
- Kim Philby, My Silent War, Macgibbon & Kee, London
1968: trad. It. La mia Guerra segreta, Mondadori, Milano 1968
- Nigel West, M I6: British Secret
Intelligence Service Operations, 1909-1945, Weidenfeld
& Nicholson, Londra 1983
-
Guerriglieri oltre
cortina, di Luca Poggiali, Storia
& Battaglie (n.1, marzo 2000), Ed. Lupo, Firenze
-
Evangelista, Matthew. Unarmed Forces: The
Transnational Movement to End the Cold War. Ithaca, NY: Cornell
University Press, 1999.
-
Karabell, Zachary. Architects of Intervention: The United States, the Third World, and the Cold War, 1946-1962. Baton Rouge: Louisiana
State University
Press, 1999.
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Lucas, Scott. Freedom’s War: The American Crusade Against the Soviet
Union. New York: New
York University
Press, 1999.
-
Judge, Edward H., John W. Langdon, The Cold War :
A History through Documents, Upper Saddle River, N.J. Prentice Hall, 1999.
-
Kort, Michael. The Columbia
Guide to the Cold War, New York, Columbia
University Press, 1998.
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