venerdì 30 luglio 2021


 Centro storico di Genova.


Passeggiando per Genova.
 
Mattino presto d'inverno: giornata tersa. Uscii di casa e non sapendo che fare sfiorai i lastricati cittadini andando su e giù per i ripidi sentieri mattonati, discesi gli infiniti gradini di quartieri germogliati su larghe spianate; mi soffermai quindi sui bordi panoramici di vecchi forti per osservare orizzonti marini lontani. Giunto ad un’alta torretta panoramica che dava sul porto, mi fermai. E proiettando lo sguardo da quello strapiombo, la città mi parve ricca di virtù nascoste e contraddittorie. Dalla coffa di quel pennone di pietra, contemplai la concreta sintesi di un paradosso urbanistico di gigantesche proporzioni: un assurdo edificato più per amor di commercio che per amor d’arte.
L’antico nucleo urbano, dilatatosi nel corso dei secoli, mostrava per piani e terrazze un ampio anfiteatro di palazzi, chiese, grattacieli, cisterne e silos. L’ingegno dei costruttori sembrava essersi sbizzarrito grazie ai numerosi enigmi del suolo, e il loro talento non pareva avere trovato ostacoli di fronte alle obiettive difficoltà di un razionale e progressivo sviluppo. Anche se gli architetti avessero avuto più spazio, se avessero potuto abbandonarsi alla fantasia, non avrebbero comunque trovato quelle infinite risorse e quella multipla varietà di motivi che dona all’intreccio stesso delle costruzioni quella originalità fulminea, capace di introdurre in ogni anfratto il lume dell’acume. Mai i costruttori sarebbero giunti di proposito a dar vita a tali brillanti combinazioni di portici, gradinate, piazze, gallerie e ripidissime vie: fitta ma casuale compenetrazione di stili e di funzioni, di opportunità e di interessi. Insieme di combinazioni, queste, che offrono al trepidare delle arti il carattere di un’inattesa sorpresa e alla più modesta delle materie - come la pietra ad esempio - un’aurea sobrietà.
Bebe Rosselli (1985).

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