sabato 27 luglio 2019

Civili polacchi deportati dai sovietici in Iran (1941)

'Piccoli eroi' loro malgrado. L'epopea dei bambini polacchi deportati da Stalin in Iran (1941). Di Cristina Cattaneo (*).


Dalla Polonia alla Siberia, Dalla Siberia all’Asia Centrale, Dall’Asia Centrale all’Iran (e, coincidenza, le conferme)
Leggo sulla Gds la recensione al libro "Storie Segrete" di Alberto Rosselli scritta Da Roberto Roggero.
Davvero una coincidenza che anch'io, nella mia ricerca per l'articolo che allego, mi sia imbattuta in uno scritto dello stesso Alberto Rosselli sui profughi polacchi a Teheran. La mia ricerca andava in una direzione leggermente diversa, perché incentrata proprio sui "Bambini di Teheran", ma fa sempre piacere trovare conferme reciproche.
Cristina
L’incredibile Odissea di tanti profughi polacchi, cristiani ed ebrei, iniziata fin prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.
In particolare voglio raccontare qui la storia di un gruppo di bambini ebrei, passati poi alla storia proprio come i Bambini di Teheran. Le storie di questi piccoli eroi, loro malgrado, sono diventate soggetto di libri e di film, purtroppo non tradotti in italiano.
Una volta ho sentito il regista polacco Christoff Zanussi affermare che in alta montagna e in tempo di guerra si possono compiere gesti di grande eroismo e solidarietà come non capita quasi mai in condizioni normali. Certo, questo è vero per tutte le situazioni di estremo pericolo e di estremo rischio. E, aggiungerei, se certi fatti si possono ricordare è proprio perché si è verificato uno di questi episodi, che non solo leniscono la memoria di una storia tragica ma confermano anche che i semi secchi e abbandonati possono germogliare e dare frutti.
Ed è proprio un episodio della seconda guerra mondiale che voglio qui ricordare.
A volte ci dimentichiamo questa parola “mondiale” e tendiamo a ricordare episodi e storia a noi più vicini. Invece bisognerebbe avere sempre presente l’ampiezza del conflitto e considerare le conseguenze di questa enormità sulle singole persone.
Quando ho scritto l’articolo sugli “Ebrei di Buchara” avevo trovato un passaggio che parlava dei “Bambini di Teheran”. Si parlava di profughi, di ebrei, di guerra. Così ho cercato di saperne di più. Ed ho scoperto una storia commovente ed avvincente. Una storia lunga e dolorosa, con troppe ombre, ma, se si può raccontare, anche con alcune luci. E trovo che sia importante raccontarla adesso, nonostante i toni minacciosi del leader iraniano, nonostante i rigurgiti antisemiti e le tentazioni negazioniste dell’attuale regime di Teheran.
Perché non è stato sempre così. Anzi.
Chi sono i “Bambini di Teheran”? Cerchiamo di andare con ordine.
Nel Settembre 1939, Hitler e Stalin, forti dell’intesa precedentemente raggiunta nel mese di agosto con il Patto Ribbentrop-Molotov, si avventarono sulla Polonia, smembrandola. Completata l’occupazione e la spartizione della Polonia, l’Unione Sovietica, che, come è noto, si era annessa la parte orientale del paese, disarmò l’esercito polacco ivi presente (formato da circa 250.000 uomini). All’inizio del 1940 le autorità sovietiche iniziarono la deportazione in massa di centinaia di migliaia di cittadini polacchi, fra cui molti ebrei, verso i gulag in Siberia. Dopo parecchie settimane di viaggio in condizioni disumane in carri bestiame i deportati cominciarono la loro nuova vita, in condizioni difficilissime. Il tasso di mortalità era altissimo, molti bambini morirono o diventarono orfani.
Il 22 giugno 1941, la Germania nazista attaccò l’Unione Sovietica nonostante il reciproco patto di non aggressione, e fu allora che cominciò una nuova avventura per i profughi polacchi, cristiani ed ebrei . In seguito ad un amnistia generale i profughi furono dichiarati liberi e cominciarono a spostarsi in massa verso le repubbliche dell’ Asia Centrale, Uzbekistan, Tagjikistan, Kirgisistan, Kazakistan, e Turkmenistan. Secondo i documenti degli archivi moscoviti, nell’estate del 1941, da tutti i campi di concentramento dell’Unione Sovietica (tra cui Vorkuta, Kolyma e Novosibirsk) defluirono in direzione della Persia decine di migliaia di polacchi fino a pochi giorni prima utilizzati nei campi, nelle foreste e nelle miniere. Una moltitudine di derelitti, affamati e malati vestiti di stracci , invase le città di Tashkent, Samarcanda ed altre. Molti bambini avevano perso i genitori e molti morirono di fame e malattie durante i soggiorni nei campi e i trasferimenti forzati.
Nello stesso tempo il Generale Wladyslaw Anders già prigioniero a Mosca, venne liberato dai sovietici e poté fondare l’esercito Polacco in Esilio. Verso la fine del 1941, Sikorski, il primo ministro polacco in esilio, riuscì a convincere Stalin ad inviare circa 25.000 soldati polacchi dell’esercito di Anders in Iran per riarmarsi e per portare rinforzi all’armata britannica nel Medio Oriente. L’Iran durante la seconda guerra mondiale era neutrale ma, per una serie motivi, il 25 agosto 1941 era stato invaso dagli inglesi e dai sovietici. Partirono 33.000 soldati e con loro 11,000 profughi civili, compresi 3.000 bambini, di cui circa 1,000 erano orfani ebrei..
Anche se le cifre sono molto discordi a prova di questo massiccio e sconosciuto esodo non sono rimasti soltanto i documenti, tenuti accuratamente nascosti dalle autorità di Mosca per diversi decenni, ma addirittura una dozzina di testimoni ancora in vita e residenti alla periferia di Teheran e molti di quelli poi soprannominati “Bambini di Teheran” che furono trasferiti in Palestina e che ancora vivono in Israele.
I circa 3000 “Bambini Di Teheran”, di cui un migliaio erano ebrei, partirono in treno da Samarcanda per Krasnovodosk e poi, attraverso il mar Caspio e sempre in condizioni terribili, raggiunsero Pahlevi, un porto iraniano sulla costa orientale del Caspio. Da qui furono infine portati a Teheran.
I bambini ebrei giunti a Teheran avevano dovuto tenere nascosta la loro appartenenza. Molti avevano perso i genitori , altri erano stati fatti scappare dalla Polonia di nascosto dai loro genitori e affidati ancora in patria ad orfanotrofi o altre istituzioni religiose. Quando arrivarono in Iran, i bambini ebrei furono assistiti dalla comunità ebraica locale che apprese, proprio da loro, ciò che Hitler stava facendo. Storicamente, gli iraniani furono quindi tra i primi a venire a conoscenza della Shoah. Anche lì però le condizioni di vita erano molto dure e i bambini dovettero sopportare ancora tante privazioni. Finalmente nel gennaio 1943, dopo aver ottenuto i permessi dalle autorità britanniche, i piccoli profughi poterono raggiungere Karachi per mare. Da lì proseguirono per Suez e il 18 febbraio 1943 raggiunsero la Palestina in treno. Finiva così per loro una odissea iniziata quattro anni prima e lunga tredicimila chilometri.
Il poeta israeliano Natan N. Alterman, ha scritto una poesia sui bambini di Teheran "che anche dopo che saranno diventati vecchi rimarranno sempre “I bambini di Teheran”... “Sì, la guerra degli anziani di Teheran, dieci anni, e la guerra degli anziani di Kazakistan, sei anni, tutti gli anziani delle battaglie fra la Siberia e la Polesia, i piccoli anziani perseguitati dal fuoco...”
Infine a proposito di Teheran e dell’Iran vorrei ricordare che la comunità ebraica iraniana è vecchia di duemilacinquecento anni. Fu proprio in virtù di ciò che il governo iraniano del tempo riuscì a convincere i nazisti che gli ebrei locali erano cittadini iraniani a tutti gli effetti. Non solo, il governo iraniano non chiese mai ad Israele nulla in cambio per aver salvato la loro vita.
Un altro edificante episodio è raccontato nelle sue memorie, scritte in persiano, da Moir Ezry, già responsabile per il trasferimento dei profughi ebrei in Iran, poi ambasciatore israeliano a Teheran, . Racconda di un giovane funzionario dell’ambasciata iraniana a Parigi, di fede musulmana, Abdol Hossein Sardari che durante la guerra salvò centinaia di ebrei europei dando loro il passaporto iraniano. Tornato in Iran, Sardari fece 30 giorni di carcere per aver distribuito passaporti a chi, sulla carta, non ne avrebbe avuto diritto. Ma fu presto scarcerato dallo scià, che gli fece complimenti per avere salvato tante vite. Abdol Hossein Sardari è morto nel 1981.
Per saperne di più:
Henryk Grynberg, Children of Zion (Northwestern University Press, 1998). Il libro si basa sulle73 testimonianze - "Protocolli" – dei bambini subito dopo il loro arrivo in Palestina.
Dorit Bader Whiteman, Escape via Siberia, A Jewish Child's Odyssey of Survival (Holmes and Meier, 1999). La storia di Lonek, un bambino di Teheran, sopravvissuto alla fuga dalla Polonia, ai campi di lavoro in Siberia, al viaggio prima verso Tashkent e Teheran e infine verso Israele. Un’odissea lunga quattro anni e tredicimila chilometri.
“Teheran Children” è anche il soggetto di un documentario televisivo attualmente in lavorazione in Israele diretto da Yehuda Kaveh ("Avidanium 2005," "Letters from Lebanon"). Il film riporta le interviste a ex -Bambini di Teheran che hanno ormai superato la mezz’età per sapere come hanno affrontato e vissuto i loro ricordi o mancanza di ricordi della loro rocambolesca avventura.

(*) Cristina Cattaneo

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