venerdì 26 luglio 2019

Racconti semiseri di Alberto Rosselli: 'L'ornitologo poeta'.





Racconti semiseri

 

L‘ornitologo poeta

 

di Alberto Rosselli


Essendo stato incaricato dal mio giornale di indagare su un’imminente invasione della nostra città da parte di un grosso stormo di pappagalli, decisi per prima cosa di documentarmi sulle caratteristiche e sulle abitudini di questi noti pennuti.
Varcai la soglia dell’Istituto di Ornitologia dell’Università in un gelido pomeriggio d’inverno. Fu quindi con grande piacere che mi inoltrai in quei corridoi che odoravano di cacciagione e di formaldeide, arredati da lunghe disposizioni di vetrine contenenti uova e uccelli imbalsamati. Le sale adiacenti erano quasi tutte vuote e solo in fondo al corridoio principale vidi una luce filtrare da una porta socchiusa. Era la biblioteca.
Entrai. La grande sala era quasi vuota e solo un paio di giovani studenti occupavano con libri e cappotti i banchi centrali. Alzarono entrambi la testa e mi guardarono: erano ventenni o poco più, ma sembravano già vecchi. Uno dei due aveva una folta barba nera, l’altro, portava i capelli lunghi sulle spalle. Il suo volto era cosparso di brufoli, molti dei quali trafitti da radi peli. Tutti e due indossavano anonime giacche di lana e camicie dai colori tenui, senza cravatta, abbottonate fino al gozzo come i carcerati.
Mi diressi verso lo stanzino del bibliotecario, un buco dal quale proveniva un forte odore di muffa e di detersivo per pavimenti. Un piccolo uomo di mezza età, in divisa grigia, mi bloccò sull’uscio.
“Desidera?”
“Vorrei consultare un testo sui pappagalli” dissi.
“Ce ne sono almeno trenta. Quali razze deve esaminare?”
“Mah! Non saprei... Mi serve un buon libro sui pappagalli in generale” risposi un po’ troppo vagamente.
“Lei non è uno studente, vero?” mi interrogò con aria sospetta il piccolo bibliotecario.
“No. Vorrei solo saperne qualcosa di più sui pappagalli”.
“Beh, un buon testo è quello del Tesei. Mi segua. Compili una di quelle schede che sono sulla cattedra. Io intanto le cerco il libro”.
Riempii un modulo e mi sedetti ad un banco. I due studenti avevano il capo sui loro appunti. Uno, quello con i capelli lunghi, si stava nettando una narice con una matita, mentre l’altro sottolineava con un righello delle fotocopie.
“Ecco a lei il testo del Tesei.” rimò il bibliotecario nel porgermi un poderoso volume.
“Grazie”.
“Guardi che chiudiamo fra un’ora, alle diciassette”, mi comunicò allontanandosi.
Aprendo quel grosso testo, piuttosto vecchio e, a giudicare dalle pagine, non molto consultato, non potevo ancora immaginare quale sorprendente scoperta ero destinato a compiere quel giorno.
Essendo a quel tempo ancora giovane, privo di fede, e quindi animato ancora dalla puerile ambizione di voler tutto spiegare a me stesso, amavo dibattermi per risolvere con la ragione svariati enigmi, compresi quelli di natura geografico-ambientale.
“Perché - mi domandavo - non è possibile per l’uomo godere simultaneamente delle bellezze naturali che il buon Dio ha creato? Perché ad un individuo è preclusa l’opportunità di piantare nel proprio giardino un bambù a fianco di un ginepro, o di allevare una foca ed un cammello nel medesimo habitat, cioè in un ambiente favorevole per entrambe queste creature che, come si sa, abbisognano di climi tanto differenti?
Pur rendendomi perfettamente conto della apparente insensatezza, la lettura del testo del Tesei mi diede però la conferma che, talvolta, anche la più strampalata intuizione mentale talvolta porta con sé il germe della verità.
Si trattava infatti di uno scritto a dire poco illuminante, nel quale potei individuare l’elaborazione esatta e completa d’una mia modesta intuizione. Dimostrazione lampante di quanto la scienza, se giustamente indirizzata, possa tramutarsi non solo in conoscenza ma in sommo inno alla libertà dell’uomo.

Ho sempre creduto nell’esistenza di una terra situata a mezza strada tra le giungle equatoriali e le conifere scandinave. Ho sempre creduto all’esistenza di una regione in cui potessero convivere ed intrecciarsi armoniosamente le peculiarità morfologiche, vegetali ed animali di aree tanto distanti fra loro. Ho sempre immaginato un posto sovrastato da un cielo e da un’atmosfera tanto giusta e perfetta da soddisfare le esigenze di ecosistemi dissimili: il punto geografico e geo cosmico ideale alla crescita e sviluppo di un uomo nuovo, universale, capace di convivere simultaneamente con gli estremi della natura e in totale armonia con essi.
Fino dalla più tenera età, ho progettato villaggi, elaborato leggi e ipotizzato sistemi socioeconomici adatti alla creazione di un insediamento umano ideale ubicato a mezza via tra l’Ovest e l’Est, il Nord e il Sud, l’orizzontale e il verticale: un insediamento che potesse poggiare le sue fondamenta sul punto d’origine di un sistema di assi cartesiane, atto a rappresentare graficamente una funzione a molteplici variabili indipendenti, operazione per la quale, come è noto, occorre uno spazio a più dimensioni.
Affannose e sterili sono risultate le consultazioni degli antichi testi. Puerile è stata la mia insistenza, giacché da Erodoto in poi, il geografo, il cartografo e l’astronomo si sono sempre impegnati nel conferire latitudine, longitudine e punti di riferimento stellari a ciò che è noto, tralasciando invece ciò che è ignoto.
Sull’ipotesi di dare forma ad un progetto di cooperazione scientifica internazionale per la messa a punto di un nuovo e completo atlante dell’ignoto mi sono sufficientemente dilungato nel corso della mia ultima conferenza di Lucerna sul tema: “Topografia aerea e Cosmologia dell’Immaginazione”.
Quel che invece mi preme affermare in questa sede, considerazioni accademiche a parte, è l’urgenza di un titanico e coordinato sforzo collettivo per individuare, nel più breve tempo possibile, oltre la linea dei comuni orizzonti ormai noti, una teoria non necessariamente uguale, ma almeno simile a quella che da diversi anni tormenta e galvanizza la mia mente.
Chiedo, quindi, a scienziati e poeti di seguirmi in quella che i posteri potranno ricordare con orgoglio come una delle più significative conquiste del genere umano.
Non avevo che sette anni quando, sfruttando l’esperienza di una gita familiare sul Monte Bignone (modesta ma interessante cima delle Alpi Marittime), guardando il profilo seghettato di un’alta catena, mi accorsi dell’incompletezza e della sostanziale banalità di un siffatto panorama.
Oddio, rimasi ben impressionato dalla disposizione esteticamente gradevole di alcuni contrafforti e dall’imponenza di quelle lontane vette, ma non potei fare a meno di constatare l’estrema ripetitività di taluni elementi appartenenti alla fauna, alla flora e al mondo minerale.
Soggetti alla ferrea legge della latitudine e quindi del clima, i fiori, le piante e gli animali (compresi gli uccelli, tengo a precisare, in quanto oggetto di miei specifici studi) non possono incrociare le proprie virtù, se non in un certo habitat. Fino ad oggi, infatti, l’incompatibilità di climi e latitudini ha impedito all’uomo e a tutti gli altri esseri di godere simultaneamente delle svariate opportunità che il Creato ci offre. Quale terribile punizione Dio inflisse a Adamo ed Eva cacciandoli dal Paradiso Terrestre, dall’unico luogo nel quale l’essere umano poté gioire liberamente alla vista di una sensuale mangrovia senegalese intenta a cingere con i suoi sinuosi e umidi rami il manto profumato e liscio di un serio abete valdostano.
Sulla scorta di quella mia prima esperienza, la mia attenzione, non disgiunta da un certo rigore morale, mi spinse nell’unica direzione percorribile. Non potendo rimanere indifferente al cospetto delle gravi sofferenze e menomazioni inflitte al genere umano e alle specie animali e vegetali dalla differenziazione latitudinale, lanciai dunque la mia sfida.
Dopo essermi dimesso dall’Università, decisi di intraprendere la rotta dell’ignoto, buttando a mare le comode ma ingombranti zavorre dei pregiudizi.
A che serve soffermarsi su ciò che già sappiamo e farcene un vanto quando l’Oceano misterioso ed increspato dagli innumerevoli prodigi che vi si celano sotto si spalanca davanti allo sguardo innocente, ma acuto di un giovane studioso alla ricerca della Verità? A che serve industriarsi nella progettazione e nella confezione di perfezionati impianti di riscaldamento e refrigerazione atti ad abbattere le diseguaglianze climatiche, quando il sole e la luna continuano da millenni a svolgere le loro immutabili mansioni sia sulla perpendicolare di Oslo che su quella di Orano?
Oltre le lontane vette scrutate da un bimbo ancora incontaminato da un sapere ben lungi dall’essere esatto, mi domando e vi chiedo: è possibile l’esistenza di un luogo di rinnovata speranza? E ancora. Sufficientemente forte e preparato si dimostrerebbe il nuovo Ulisse alla vista di una nuova realtà fatta di palmizi innevati, leoni bianchi, orsi sahariani, scimmie bavaresi, mucche polari ed altre magnifiche stranezze?
Odo il microscopico tarlo del dubbio rodere le vostre menti. Sento vacillare in voi ogni volontà immortale, miei cari colleghi. Temete di dover affrontare la realtà rappresentata da ciò che in un tempo biblico fu e che potrebbe all’improvviso di nuovo rivelarsi in qualche quadrante perduto, poiché volutamente dimenticato da una fragile memoria collettiva dilaniata dai sensi di colpa?
Vi difendete forse giudicando pindariche e addirittura malsane le mie ipotesi e gli interrogativi che sono solito pormi dall’alto del mio osservatorio?
Seduto come sono su questo remoto sperone di roccia dominante dirupi coraggiosi, vallate erotiche, sedentarie colline e dormienti pianure, punto il mio sguardo a trecentosessanta gradi per ritrovare un qualcosa da noi tutti smarrito. Dall’alto di questa fredda e ventilata postazione, comprendo ora l’esatto significato della missione di Pitea, il greco di Marsiglia, alla ricerca dell’ultima Thule.
Solo, circondato da spazi azzurri, sordo al richiamo del senso comune, vivo l’estrema mia ultima ricerca. E scrutando l’infinità del nulla talvolta mi pare davvero di intravedere il profilo d’una terra senza tempo e gradi”.

Provai un tuffo al cuore, chiusi il libro, andai alla finestra e mi misi a guardare il cielo.

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