mercoledì 18 novembre 2020


Mossa scandalosa, oltre che pericolosa. 
L'Italia vende alla Turchia del 'sultano' Erdogan navi militari e armi.
 
Ma a quale gioco gioca il governo Conte? Possibile che l’Italia armi la Turchia del Fratello Musulmano Erdogan? L’analisi dei dati Istat sul commercio estero ci dice, evidenziandolo, che dal novembre 2019 al luglio del 2020 l’Italia ha esportato in Turchia più di 85 milioni di euro di “armi e munizioni”, una cifra che costituisce il massimo storico dal 1991 e che quest’anno potrà essere superata. Solo nel primo semestre del 2020 l’export si attesta a quasi 60 milioni di euro. In gran parte si tratta di munizionamento pesante. Come possiamo aver già dimenticato il “ricatto migratorio”, lungo le rotte orientali, messo in atto da Erdogan nei confronti dell’Unione Europea, della quale l’Italia fa parte e anzi ne è un Paese fondatore. Quel ricatto (vero e proprio) è costato all’Unione Europea prima 9 miliardi di euro e poi ulteriori 6 miliardi. Questi 15 miliardi di euro li ha “pagasti” l’Unione Europea ma escono dalle tasche dei contribuenti europei. Questo perché? Perché altrimenti il “nuovo sultano” avrebbe aperto le frontiere con l’UE anziché trattenere in Anatolia milioni di profughi siriani e di altre nazionalità. Ora, oltre alle armi, gli abbiamo – e questa volta noi, Italia – un’altra potente arma di ricatto: il controllo della cosiddetta “Guardia Costiera libica”. Gli addestratori turchi sono già impegnati sulle motovedette italiane donate dai governi Gentiloni e Conte ai libici. E sapete chi “manutenziona” le motovedette e i pattugliatori? La manutenzione è assicurata dalla “nave officina” della Marina militare italiana stabilmente presente nel porto della capitale libica e pagata dai contribuenti italiani. Da alcuni giorni quelle motovedette vengono adoperate da militari-istruttori turchi per insegnare ai libici come pattugliare l’area di ricerca e soccorso: la “zona Sar”, la cui istituzione era stata progettata e pagata dall’Italia. Non solo. Anche gli interventi dei “pattugliatori” di fabbricazione italiana adesso saranno decisi non più con la Marina militare italiana ma con le Forze Armate turche che, senza investire un centesimo di euro, dispongono adesso di una “flotta supplementare” nel Mediterraneo centrale. Questo lembo di mare in cui la Turchia vuole primeggiare, minacciando la Grecia e Cipro. Tra il 2017 e il 2018 la Guardia Costiera italiana ha sostenuto la Libyan Coast Guard con 1,8 milioni di euro. I “memorandum d’intesa” con Tripoli, l’ultimo dei quali rinnovato lo scorso 7 febbraio, e il rifinanziamento dell’impegno italiano votato dal Parlamento lo scorso 16 luglio, rischiano di rivelarsi un boomerang per l’Italia e Unione Europea perché saranno le autorità tripoline in accordo con Ankara a spadroneggiare nella “Zona Sar” libica, senza rendere conto né a Roma né all’Unione Europea.
E se Erdogan utilizzerà i flussi migratori come “arma di ricatto”, come già ha fatto sulla rotta orientale, anche sulla rotta centrale del Mediterraneo? E i nostri parlamentari, di maggioranza come dell'opposizione, cosa dicono? Un roboante niente! Restano silenti.

 

Nessun commento:

Posta un commento