sabato 17 marzo 2012

LA SERBIA E IL PERICOLO DI UN’ISLAMIZZAZIONE OLTRANZISTA DEI BALCANI




LA SERBIA E IL PERICOLO DI 
UN’ISLAMIZZAZIONE 
OLTRANZISTA DEI BALCANI

La dissoluzione dell’ex Iugoslavia non ha soltanto consentito la lecita rinascita di mai sopiti sentimenti nazionalisti a lungo compressi dal coercitivo sistema comunista, ma ha anche aperto la strada – soprattutto nel sud dell’ex Repubblica socialista - all’espandersi di un movimento islamico radicale, internazionalista di matrice jihadista. Non a caso, in Bosnia, Kosovo, Sangiaccato, Macedonia e Montenegro operano da tempo diverse cellule che si rifanno esplicitamente ad Al Qaeda. In questo contesto, un ruolo di fondamentale importanza viene svolto dai religiosi, che stanno facendo delle moschee luoghi di indottrinamento politico più che religioso, e dalle ben finanziate (soprattutto dall’Arabia Saudita wahabita, dall’Iran e dal Pakistan) “organizzazioni umanitarie islamiche”, impegnate nella costruzione di ospedali, ma anche di centri di studio atti a propagandare, soprattutto tra i giovani, una forma di revanscismo musulmano estremista che nulla ha a che vedere con il tradizionale e moderato credo religioso di tipo sunnita professato dalle minoranze islamiche dell’ex Iugoslavia. Negli ultimi cinque anni, negli Stati sorti dalle rovine del socialismo titino si sono moltiplicati gruppi islamici militanti collegati a reti terroristiche internazionali dalle quali ottengono fondi anche derivanti dal narcotraffico. Denuncia ribadita più volte dal leader nazionalista moderato del Partito Democratico di Serbia (DSS) Vojislav Kostunica. Dei circa 1,5 trilioni di dollari (cifra che rappresenta l’insieme dei proventi del crimine organizzato mondiale) “una buona percentuale di incassi risulta frutto degli introiti derivanti dal narcotraffico balcanico: un’area che comprende anche l’Albania settentrionale”.
Secondo il governo di Belgrado, il vasto “santuario” verso il quale convergono tutte le risorse finanziarie e umane che fanno riferimento ad Al Qaeda e alle organizzazioni wahabite si starebbe radicalizzando nei Balcani sud-occidentali e, nella fattispecie, in Kosovo e nel Sangiaccato serbo: regione di notevole importanza strategica in quanto incuneata tra Kosovo, Montenegro e Bosnia. Nel marzo del 2007, la scoperta di un campo di addestramento fondamentalista alla periferia della città di Novi Pazar, unitamente al ritrovamento di ingenti quantitativi di armi, munizioni ed esplosivi, ha fatto chiaramente intendere la portata di questo fenomeno che ha ormai valicato i confini della vicina Bosnia-Erzegovina. D’altra parte, fu proprio il conflitto di Bosnia a sancire l’esordio di Al Qaeda, da sempre interessata a mettere radici nei Balcani, giudicandolo un trampolino ideale per possibili successive penetrazioni in Occidente ed Europa Orientale.
Oggi come oggi, stando al parere degli esperti non solo serbi, il pericolo maggiore è rappresentato dall’intesa tra gruppi wahabiti salafiti (il salafismo è un attaccamento cieco alla tradizione degli anziani e di chi precede, salaf) e le suddette organizzazioni terroristiche islamiche globali: un’alleanza più che plausibile che potrebbe rafforzarsi ulteriormente grazie anche alla connivenza dei gruppi bosniaci della diaspora. Per quanto concerne il Montenegro, da un rapporto stilato la scorsa estate dai servizi di sicurezza di Podgorica, si evince che sul territorio della giovane repubblica sarebbero presenti diverse centinaia tra agenti e guerriglieri salafiti pronti ad entrare in azione al momento più opportuno. E se si pensa che entro il 2050 circa la metà della popolazione diverrà musulmana, ciò fa intendere che qualsiasi loro iniziativa di tipo sovversivo potrà attecchire in un ambiente più che idoneo, mettendo a repentaglio il futuro di questo antico Stato balcanico a maggioranza (il 74%) cristiana ortodossa. Attualmente, in Montenergo, gli islamici, che ammontano invece a 110.000 unità, pari al 17,74% della popolazione, sono suddivisi in due etnie principali: quella albanese e quella slava bosniaca. Per quanto concerne il processo di islamizzazione radicale del nuovo Stato del Kosovo, il leader Vojislav Kostunica, si è poi scagliato contro l’accordo ASA (l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione) firmato poche settimane fa in Lussemburgo e che apre di fatto le porte alla candidatura UE al Kosovo. Non solo. Per il capo del governo uscente, con l’intesa firmata dal vice primo ministro Bozidar Djelic alla presenza del presidente Boris Tadic, Belgrado “ha accettato supinamente la secessione del Kosovo, consegnandolo nelle mani di un esecutivo debole e pericoloso”. Ma la fase di instabilità riguarda anche la repubblica di Macedonia che, proprio in questi ultimi due anni, ha fatto registrare forti insofferenze da parte della robusta minoranza etnica albanese musulmana (il 35% dell’intera popolazione). A sette anni dalla firma dell’Accordo di pace di Ohrid (agosto del 2001) che pose termine alla breve guerra civile (marzo/giugno del 2001) tra forze regolari macedoni e guerriglieri albanesi, la situazione è ritornata a farsi estremamente critica. Nel settembre 2007, presso il villaggio di Vaksince si sono verificati duri scontri con morti e feriti e il successivo 7 novembre forze speciali macedoni hanno compiuto una vasta retata nella provincia di Tetovo, roccaforte della minoranza albanese del paese, sgominando la banda del leader Lirim Jakupi. Ex miliziano della guerriglia irredentista in Kosovo, Jakupi, noto anche per il suo presunto coinvolgimento in traffici illegali di armi e droga, è riuscito tuttavia a darsi alla macchia. Lo scorso 28 aprile, a Pristina, la stessa polizia kosovara ha sequestrato un'auto zeppa di armi e munizioni diretta in Macedonia, arrestando quattro kosovari musulmani sedicenti “agenti di commercio”. Secondo quanto riportato dalle fonti della polizia, le armi apparterrebbero nientemeno che alle truppe di pace dell'ONU, responsabili della sicurezza dei confini del Kosovo. Tenendo conto dei delicati equilibri interni macedoni (l’islamismo armato sta facendo proseliti nella comunità albanese che punta all’ottenimento di maggiori diritti, come l`utilizzo della lingua e della bandiera, nonché ad un'adeguata assistenza e remunerazione per i veterani di guerra), l’intersecazione tra istanze indipendentiste e fondamentaliste sta di fatto minando non soltanto la solidità interna del Paese, ma anche i rapporti con lo stesso Kosovo. Non a caso, il governo di Skopje ha messo il veto sulla partecipazione del presidente kosovaro Fatmir Sejdiu al summit di Ohrid del 2 maggio (2008), al quale hanno partecipato tutti i leader dell'Europa centro-meridionale e orientale (Italia e Turchia incluse).

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