sabato 17 marzo 2012

‘ORO NERO’ LUNGO IL MEKONG: UN ‘AFFARE’ CINESE A RISCHIO TERZI



 

‘ORO NERO’ LUNGO IL MEKONG:
UN ‘AFFARE’ CINESE A RISCHIO TERZI


Altre due tanker cinesi hanno trasferito nello Yunnan attraverso il Mekong 9.000 tonnellate di petrolio mediorientale raffinato presso lo scalo thailandese di Chiang Rai: un’ escamotage  attuato – come riferisce l’agenzia Xinhua – “per  assicurare i rifornimenti alle aree industriali dello Yunnan e delle province sud occidentali cinesi, senza dovere correre il rischio di perdere carichi nello Stretto di Malacca ormai infestato dai pirati”. Secondo le più recenti stime, la Cina importerebbe annualmente circa 140 milioni di tonnellate di petrolio mediorientale, il 75% del quale attraverso lo Stretto di Malacca, un tratto di mare che, oltre alla presenza di numerose flottiglie ‘pirata’, potrebbe un domani risultare ancora più pericoloso, soprattutto “nel caso di un conflitto con gli Stati Uniti”. Di qui l'idea di utilizzare l’ampio corso del Mekong che nasce nel Tibet e attraversa lo Yunnan per poi scorrere per ben 4.880 chilometri lungo i confini del Myanmar, del Laos e della Thailandia, sfociando - dopo avere bagnato Cambogia e Vietnam - nel Mar Cinese Meridionale. Attualmente, non meno di 60 milioni di persone vivono lungo le sponde del fiume dal quale esse dipendono per l’approvvigionamento idrico, per i trasporti e per la pesca. In passato la Cina ha tentato più volte di sfruttare economicamente e unilateralmente questa via, progettando dighe e di impianti idroelettrici lungo il suo alto corso, provocando violente proteste da parte di Thailandia, Cambogia e Vietnam, timorosi di vedere eccessivamente ‘manipolato’  o ‘impoverito’ l’importante fiume. Tra una lite e l’altra, Pechino è riuscita a costruire due sole dighe che, tuttavia, hanno già ridotto sensibilmente la portata del Mekong, soprattutto durante la stagione secca. Nel 2004, la Cina ha reso navigabile la parte di fiume posta in suo territorio, e nel marzo 2006, è riuscita ad ottenere da Myanmar, Laos e Thailandia  il permesso di trasportare mensilmente, tramite tanker fluviali, un minimo di 1.200 tonnellate di petrolio raffinato. Ma non è tutto. Lo scorso mese di dicembre, uno dei responsabili del ministero della Marina cinese, Qiao Xinmin, ha annunciato di volere incrementare le spedizioni annue di greggio raffinato a 70.000 tonnellate: progetto che ha messo in allarme diverse associazioni ambientalistiche. Premrudee Daoroung, direttore della Towards Ecological Recovery and Regional Alliance di Bangkok, ha osservato che l’accordo tra Pechino, Myanmar, Laos e Thailandia, “è stato siglato in segreto, senza preoccuparsi dell’opinione degli abitanti che vivono lungo il fiume: una decisione che fa ben comprendere chi in realtà detenga il totale controllo sul Mekong e sulle sue risorse naturali (la fauna ittica, soprattutto), patrimonio da sacrificare in nome degli interessi economici cinesi e di quelli degli altri governi della regione”. L’elevato rischio di possibili perdite di greggio a parte delle tanker cinesi ha allarmato anche Chainarong Srettachau, direttore della thailandese Southeast Asia Rivers Network. “Se, disgraziatamente, una petroliera dovesse affondare o subire una perdita, il suo carico si disperderebbe con rapidità a valle del fiume, provocando danni enormi e irreparabili”. 



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