IL FASCINO DELLE “PIRATESSE”
di Alberto Rosselli
William Kidd, detto Capitan Kidd (1645-1701), Sir
Francis Drake (1545-1596), Robert Surcouf
(1773-1827), Jean e Pierre Lafitte (1780–1826), il genovese Giuseppe
Bavastro (1760-1833). Questi i nomi di alcuni tra i più famosi corsari e pirati
della storia: uomini e marinai formidabili, intrepidi e spesso, secondo il
linguaggio cinematografico, duri a morire. Comandanti le cui gesta, legali e
illegali (nota è infatti alla gente di mare la differenza tra corsari e pirati)
hanno affascinato generazioni di scrittori che, spesso con molta fantasia,
hanno dipinto le loro avventure in tante mirabili opere. Meno, purtroppo, è
stato invece scritto sulle “piratesse” che al pari dei loro colleghi barbuti e
sanguinari hanno lasciato un ricordo altrettanto importante e per molti versi
ben più ricco e curioso. La prima “piratessa” di cui si ha memoria pare che fosse
una vichinga, tale Alvilda, originaria della Svezia meridionale, che prese il
mare per evitare il matrimonio combinato con un non ben definito principe Alf.
Refrattaria al sesso maschile e avvezza alla birra, pare che Alvilda comandasse,
in braghe e a torso nudo, un drakkar il cui equipaggio era composto da
sole donne, tutte vedove o anch’esse allergiche agli uomini. Agli albori del
XIX secolo, il Mar della Cina venne invece tartassato dalla bellissima, ma grassissima
e sanguinaria “piratessa” taiwanese Ching Shih che era solita indossare i
sontuosi panni dei grandi ammiragli dell’Impero Celeste e fare fuori 15
aragoste ad ogni pranzo. Sembra che alla fine della sua lunga e redditizia
carriera (morì di congestione intestinale a 82 anni) ella potesse contare su
una flotta da guerra e mercantile composta da 1.800 navi di vario tipo e su un
esercito di 80.000 uomini.
Nel XVIII secolo, in Europa, al pari
degli affari e della politica, anche la pirateria era una pratica
essenzialmente riservata agli uomini, al punto che alcune fanciulle francesi e
inglesi che si erano cacciate nella testa di solcare gli oceani all’insegna dello
stendardo nero, altra scelta non ebbero che abbandonare gonne e scarpette per
indossare cappellacci piumati, giubbe e stivali e sfoderare sciabole e coltelli.
La monumentale Storia della Marineria Britannica ci tramanda le gesta,
assai poco note ma del tutto vere, di alcune di queste “piratesse” che, anche
in nome della liberazione della donna dal giogo maschilista, assursero agli
onori della cronaca, lasciando dietro di sé una scia di avventure marinare e
guerresche, non di rado costellate da sanguinari e gustosi episodi. Pare che fosse
una francese, Charlotte de Berry, la prima donna europea ad abbracciare la
carriera di pirata. Nata nel 1632 in Inghilterra, Charlotte seguì dapprima il
marito a bordo di un vascello pirata, per poi mollarlo e farsi una vita tutta sua.
Costretta ad imbarcarsi su una nave da carico diretta in Africa occidentale,
Charlotte capeggiò un ammutinamento contro il brutale comandante (al quale
mozzò la testa con un colpo di sciabola), impadronendosi della nave e
convincendo l’equipaggio a seguirla lungo la rotta che la portò alla pirateria,
alla ricchezza e alla morte. Dopo anni di abbordaggi e rapine milionarie, la de
Berry scomparve con la sua nave, probabilmente in una tempesta. All’età di 22
anni, l’inglese Mary Read (1690-1720), una graziosa ma robusta ed irruente
fanciulla, si accorse di non esser fatta per divenire donna e un giorno sposa,
e nutrendo passione per l’avventura e il mare scelse di vivere l’intera sua esistenza
nei panni di un corsaro. Rasata a zero e vestita alla morgan, per prima
cosa Mary riuscì, non si sa come, ad acchiappare una fregata inglese in rotta
verso i Caraibi. Abbordata dalla nave del pirata Jack Rackham (detto il
“Calico”), Mary prese la palla al balzo e chiese di unirsi alla ciurma.
Richiesta che venne accolta senza alcun problema, non fosse altro perché a
bordo della nave si sarebbe trovata in compagnia di un’altra “piratessa”, tale
Anne Bonny, che oltre che l’amante di Rackham, era già un’autentica veterana (sarà
proprio Anne ad insegnare a Mary tutti i segreti del mestiere). In breve, Mary
e Anne divennero “buoni amici” e tra una sbronza di rhum e un abbordaggio
diedero vita ad una vera e propria saga. “Le due donne navigavano con grande
perizia, bevevano forte, rumoreggiavano e bestemmiavano come un fiume in piena
e in combattimento erano solite non fare prigionieri”. La storia narra che,
durante un assalto ad un galeone spagnolo carico d’argento, Mary e Anne
guidarono l’attacco non prima di avere piantato una pallottola in testa a due
loro marinai non sufficientemente lesti nello scattare al loro ordine. Quando nel
1720, al largo della Giamaica, la nave del “Calico” soccombette al confronto di
un vascello britannico per imperizia e debolezza del comandante. Mary e Anne,
che furono le ultime ad arrendersi (passarono a fil di spada una dozzina di
marinai britannici), vennero imprigionate, ma ad esse fu risparmiato il cappio
poiché risultarono entrambe incinte. E quando il pirata Rackham venne
trascinato sulla forca, la sua intrepida amante Bonny, facendosi largo tra la
folla e anziché disperarsi o rincuorarlo gli gridò in faccia “Calico, se tu
avessi combattuto da uomo e non da eunuco, ora non saresti costretto a morire
come cane!”.
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