TURCHIA IN EUROPA: LA POSIZIONE DEL VATICANO E DEGLI INTELLETTUALI CATTOLICI
di Alberto Rosselli
Fin dal lontano 2002, sul problema dell’ingresso
della Turchia nell’Unione, il Vaticano aveva cercato di astenersi da prese di
posizione per così dire “irrevocabili”, anche se nel luglio e nel settembre di
quell’anno, il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, aveva avuto modo di
esporre le sue opinioni e perplessità (che, in forza del suo alto incarico, si
identificavano di fatto con quelle della Santa Sede) attraverso due memorandum
inviati ai capi di governo dei quindici paesi a quel tempo membri dell’UE. In
entrambe le note, Sodano poneva come condizione vincolante all’ingresso della
Turchia in Europa il rispetto della libertà religiosa e dei diritti umani,
facendo osservare che nei fatti il governo di Ankara era ancora molto distante
dal volere ottemperare a tale indicazione.
Venuto a
conoscenza dei memorandum, nel dicembre 2002 il ministro degli Esteri turco volle
assicurare il Vaticano che ogni sforzo sarebbe stato comunque compiuto dal
governo turco in quella direzione. E il 21 giugno 2004, il primo ministro Erdogan ribadì
tale assicurazione ricevendo per la prima volta, ad Ankara, i vescovi cattolici
di Turchia. Successivamente e in più occasioni, il cardinale Sodano riaffermò nuovamente
la posizione sostanzialmente neutrale (o meglio, attendista) della Santa Sede: atteggiamento
poi “scavalcato” dall’arcivescovo Giovanni Lajolo. Questi, infatti, dichiarò a
chiare lettere che “il rispetto dei diritti umani e, primo fra tutti, della
libertà religiosa” da parte di Ankara rimaneva per la Santa Sede la
condizione prioritaria, auspicando che “in un futuro negoziato gli interessi
economici e strategici non spingessero al ribasso la valutazione di tale
priorità”. Il 15
dicembre 2004 nel votare a larga maggioranza l’avvio dei negoziati
all’ammissione della Turchia nell’UE, il parlamento europeo bocciò però un
emendamento che sollecitava Ankara a conferire al più presto personalità
giuridica alle chiese cristiane e a sopprimere il Dipartimento degli Affari
religiosi, l’organo di stato preposto al controllo del culto. Dichiarazione,
questa, che non fu ben accolta dal Vaticano. Commentando l’episodio, Avvenire, quotidiano della conferenza
episcopale italiana, lamentò “il manifestarsi nella maggioranza degli eurodeputati
di un qualche pregiudizio anticristiano”, mettendo in guardia circa l’impossibilità
“di condurre un’efficace trattativa con la Turchia” nel caso l’Europa avesse
continuato ad abdicare a singhiozzo, secondo le proprie idiosincrasie, all’identità
europea”.
Sempre per quanto concerne la
posizione della Chiesa cattolica, tra i contrari all’ingresso della Turchia vi
era un teologo estremamente autorevole, destinato a diventare il futuro papa
Benedetto XVI: il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per
la Dottrina della Fede. Ratzinger ebbe modo di esprimere la sua ferma seppur
garbata opposizione in due occasioni: nel corso di un’intervista concessa a Le Figaro Magazine e nell’ambito di un
convegno degli operatori pastorali della diocesi di Velletri, di cui era
titolare. Il contenuto di questo suo intervento fu riportato dal quotidiano
cattolico di Lugano Il Giornale del Popolo. In entrambi i casi, il
futuro pontefice precisò però di esprimere un’opinione personale. A Le Figaro Magazine, Ratzinger disse: “L’Europa
è un continente culturale e non geografico. È la sua cultura che le dona un’identità
comune. Le radici che hanno permesso la formazione di questo continente sono
quelle del cristianesimo. (...) In questo senso, nel corso della storia, la
Turchia ha sempre rappresentato un altro “mondo”, in permanente contrasto con l’Europa.
(…) I turchi hanno combattuto contro l’impero bizantino, hanno invaso i Balcani
e hanno minacciato perfino Vienna. (…) Sarebbe quindi un errore identificare i
due continenti. Sarebbe una perdita la scomparsa di una cultura in cambio di
benefici economici. La Turchia, che si considera uno stato laico, ma fondato
sull’islam, potrebbe – suggerì Ratzinger - tentare di dare vita, assieme ad
altri paesi mediorientali, ad un nuovo “continente”, diventando così una
nazione protagonista, in possesso di una chiara identità, ma in comunione con i
grandi valori umanisti che noi tutti dovremmo riconoscere. Questa idea, che non
contrasterebbe forme di associazione e di collaborazione stretta e amichevole
con l’Europa, permetterebbe il sorgere di una forza comune in opposizione a
qualsiasi tipo di “fondamentalismo’”. Concetti, questi, poi ribaditi nel
successivo discorso di Velletri. “Storicamente e culturalmente – ripeté il
cardinale - la Turchia ha poco da spartire con l’Europa: ragione per cui
sarebbe un errore grande inglobarla nell’Unione. Meglio sarebbe se la Turchia
facesse da nazione-ponte tra Europa e mondo arabo, oppure formasse un suo “continente
culturale” insieme con esso. L’Europa non è un concetto geografico ma
culturale, formatosi attraverso un percorso storico, anche conflittuale,
imperniato sulla fede cristiana, ed è un fatto che l’impero ottomano si sia
sempre contrapposto all’Europa. Anche se Kemal Atatürk negli anni Venti ha
costruito una Turchia laica, essa resta il nucleo dell’antico impero ottomano
islamico”. (L’Europa è cristiana: ma nel suo cielo brilla la mezzaluna turca, di Sandro Magister, 15.10.2004)
All’epoca in cui era ministro degli
Esteri della Santa Sede, l’arcivescovo Jean-Louis Tauran aveva anch’egli
formulato serie riserve sull’ingresso nell’Unione della Turchia. In un’intervista
del 25 maggio
2003, rilasciata al Corriere
della Sera, Tauran aveva suggerito di “dare la precedenza, in materia di
integrazione europea, a paesi come la Moldavia e l’Ucraina, entrambi europei e
cristiani”. Posizione, quella di Tauran, alla quale, sempre nel maggio del
2003, si associò il cardinale Camillo Ruini, vicario del papa per la diocesi di
Roma e presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Nella conferenza stampa
a conclusione di un’assemblea della CEI, Ruini aveva invitato a “ponderare bene”
la questione, perché da un lato era da valutare “l’interesse dei cristiani di
Turchia” ad entrare in Europa, ma dall’altro non si poteva ignorare che “la
Turchia, pur avendo una costituzione laica, era di fatto una nazione fortemente
islamica, molto popolosa e con una dinamica demografica molto accentuata”. In
questi ultimi tempi, l’opinione del cardinale Ruini sembra essersi evoluta in
termini più favorevoli nei confronti dell’ammissione della Turchia, stando
almeno a quanto riportato dal quotidiano Avvenire
e dall’Agenzia SIR (entrambi della CEI). Un cardinale che di recente si è
espresso invece a sostegno della Turchia è il gesuita Roberto Tucci,
organizzatore dei viaggi all’estero di Giovanni Paolo II. Tucci
è infatti dell’idea che la Turchia sia un paese islamico autenticamente “moderato”
e quindi predisposto, nonostante la sua islamicità, ad essere inserito, seppure
a determinate condizioni, in Europa.
Anche se,
come ha affermato il ministro degli Esteri della Santa Sede Giovanni Lajolo (si veda Vaticano:
dolorosa situazione cristiani in Medio Oriente e Turchia, Agenzia AGI, 17 maggio 1999), “la situazione
dei cristiani nei paesi dell’islam si stia deteriorando rapidamente. L’intera
Chiesa Cattolica deve mobilitarsi con iniziative diplomatiche ed economiche in
difesa dei cristiani. Migliaia di fedeli di Cristo residenti in stati
mussulmani si vedono costretti a lasciare la loro patria ove non sono più
adeguatamente protetti nei loro diritti fondamentali. E in questo contesto – ha
sottolineato Lajolo - risulta particolarmente difficile la vita dei cristiani residenti
in Turchia”.
Decisamente
favorevoli all’ingresso della Turchia nell’UE sono i vescovi e la minuscola
comunità cattolica di Anatolia. Il 21 giugno 2004, per la prima volta nella
storia, i vescovi furono ricevuti ad Ankara dal primo ministro Erdoğan al quale
essi espressero il loro sostegno e insieme la richiesta di un riconoscimento
giuridico anche per la chiesa cattolica (il governo turco aveva già deliberato
un simile provvedimento sia per gli ebrei che per gli armeni e i greci
ortodossi). In due successive interviste rilasciate all’agenzia SIR, il
portavoce della Conferenza episcopale turca, monsignor Georges Marovitch, rammentò
che “tra i paesi islamici, la Turchia che per più tempo ha potuto sperimentare
il fenomeno della coabitazione tra differenti religioni. Questo paese rappresenta
inoltre il punto di congiunzione tra Occidente e Oriente, un ponte che potrebbe
facilitare le relazioni tra islam e cristianesimo. Senza considerare che in
Europa vivono già 15 milioni di mussulmani dei quali ben cinque milioni sono
turchi. Negare l’ingresso alla Turchia – dichiarò Marovitch - significherebbe
correre il rischio di fare cadere questo paese nelle mani degli integralisti e
fondamentalisti islamici”. Parimenti favorevole ad una Turchia inserita nell’UE
si sono dichiarati il patriarcato ortodosso di Costantinopoli e le chiese
cristiane di tutte le confessioni riunite nella KEK, la Conferenza delle Chiese
Europee. Va comunque notato che, nell’ambito del variegato mondo delle comunità
cristiane non cattoliche, esistono anche fermi oppositori, come ad esempio la
potente chiesa russa ortodossa che concorda in tutto, o quasi, con il pensiero
di gran parte dei vescovi cattolici. Anzi, si spinge ancora più in là. Per il
patriarcato russo, infatti, un’eventuale ammissione della Turchia nell’UE “indurrebbe,
inevitabilmente, anche gli altri stati nordafricani, e mussulmani, che si
affacciano sul Mediterraneo a reclamare un’identità europea. Cosa del tutto
insensata”.
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