JACOVITTI: MATITE, SALAMI E GLORIA
di Alberto Rosselli
C’è
poco da fare. La mia classe è (purtroppo) quella del lontano 1955, ragione per
cui ho vissuto, scolasticamente parlando, un’epoca caratterizzata da dolorose e
nette spaccature ideologiche. Un’epoca in cui chi aveva un cuore ‘politico’ era
solito esporsi e dichiararsi senza paura e senza ambiguità. Non come adesso. E
ciò valeva per tutto: per le preferenze letterarie, pittoriche, per il cinema,
ed anche per il fumetto. Sì, perché anche il fumetto delineava politicamente il
suo lettore. I ragazzi di sinistra andavano pazzi per Linus e per i suoi
graziosi, teneri contenuti sentimental-sociologico-psicanalitici, apparentemente
controcorrente, ma che in realtà trasudavano già quell’insieme di concetti ora
definiti come ‘politicamente corretti’. Altri, come il sottoscritto, optavano per
il surreale cavaliere solitario Cocco Bill, gran bevitore di camomille, con le
sue praterie disseminate di salami, lische di pesce, teste di cavallo mozzate, pistole
di gommapane, nasi e dentoni fuori da ogni logica e matite piantate a mezzo
busto nella terra. Preferivo, insomma, Benito Jacovitti e quel mondo
graficamente ed apparentemente convenzionale nella sua accuratezza grafica e
narrativa, smaliziato ed autoironico, tanto acuto e concettualmente
‘rovesciato’ da apparire demenziale. Come è stato detto da qualcuno, occorre
confessare che tutti noi abbiamo un debito con Jacovitti. Un debito di buon
umore, di fantasia, di creatività capace di donare pause di formidabile divertimento
senza mai nulla concedere a quell'estetica volgare che alla fine degli anni
Sessanta prese il potere in Italia. Non che Benito Jacovitti, nato il 19 marzo 1923 a Termoli, non abbia
saputo travalicare i generi e i confini concedendosi alcune significative trasgressioni,
come quando decise di illustrare in 110 pose simpaticamente folli addirittura
il ‘mito’ dell’erotismo d’importazione: il tanto celebre quanto noiosissimo (e
se mi consentite, faticoso) Kamasutra, che tanto colpì l’immaginazione di
schiere di acculturati barbuti e occhialuti nostrani, bigotti e provinciali. O
come quando, tra il 1980 e il 1981, Jacovitti accetterà di disegnare per Playmen caricature dissacranti di maschi
con piselli a forma di rubinetto e bellone
dotate di tre tette. Jacovitti non era un semplice, bravo disegnatore, ma nel
suo piccolo un vero genio. Un luminoso scriteriato della matita, “capace di definire in modo autonomo stile e
parametri, regole e rispettive deviazioni”. Un’artista che rimase sempre se
stesso, fregandosene delle mode, delle ‘tendenze’ e dei ‘sottintesi’ tanto cari
agli intellettuali. “A proposito dei
salami e delle lische di pesce seminate per terra, personaggi come Vittorio Metz,
Umberto Eco e Oreste del Buono sostennero che me ne servissi per nascondere un
qualcosa di erotico. Ma io in realtà non ci pensavo neanche lontanamente”. Dopo
avere pubblicato i suoi primi schizzi umoristici sul settimanale “Il Brivido”,
nell’autunno del 1940, ad appena 17 anni, Jacovitti approdò al settimanale
cattolico “Il Vittorioso”, dando vita ad una serie di personaggi destinati a
fare carriera: Pippo, Pertica e Palla. Grazie a questo trio, Benito sfonda e
presto affianca alle sue prime creature nuovi ‘mostri’: l'arcipoliziotto Cip e
il suo stolido assistente Gallina, Mandrago il Mago e l'Onorevole Tartan. Fino
a concepire, per il “Giorno dei Ragazzi” e per il “Corriere dei Piccoli”, il
grande Cocco Bill (personaggio creato in realtà nel 1957 sulle orme di Tex
Revolver) e il suo cavallo parlante Trottalemme (altro che Furia!), il
fantascientifico Gionni Galassia, il reporter Tom Ficcanaso, e ancora, Zorry
Kid (parodia del nero eroe californiano) e l’imbranato quanto sfigato
delinquente Jack Mandolino. Dopo avere regalato, nel 1967, al serio mensile
dell'ACI “L'automobile” un personaggio come Agatone, nei primi anni Settanta
Jacovitti – già politicamente bollato come elemento “qualunquista di destra” -
ricevette dal coraggioso (occorre ammetterlo) Oreste Del Buono, a quel tempo
direttore di Linus, l’invito a collaborare: occasione – anzi, sfida - che il nostro accettò senza problemi,
alternando le sue strisce a svariate e numerose creazioni nel campo della
cartellonistica politica.
Intervistato
a proposito della sua discussa collaborazione con Linus, Jacovitti disse: “Lasciamo perdere. Da sinistra ci sono state
delle persone che hanno scritto a Linus dandomi
del fascista, mentre ad alcuni tizi dell’estrema destra che mi hanno
addirittura telefonato minacciandomi di morte, ho risposto: Ricordatevi che mi
chiamo Benito!.Eia eia alalà!”
Sempre
in quegli anni d'oro Jacovitti creò gli indimenticabili “Diariovitt”, i diari
scolastici (i cui testi erano curati da personaggi del calibro di Roberto Gervaso,
Indro Montanelli, Sergio Zavoli, Sandro Paternostro e Ruggero Orlando) sui quali
un paio di generazioni si sono ‘formate’ culturalmente. Poi un lento declino.
Forse a corto di nuovi tipi di salami, Jacovitti incominciò a divorare se
stesso, a ripetersi un poco, seppur con la solita maestria, in illustrazioni e
narrazioni meno incisive, almeno se confrontate con quelle partorite tra il
1965 e il 1972. Ormai relegato ai margini di un mondo creativo già intaccato
dalle mode stilistiche giapponesi e da una sorta di rassegnazione nei confronti
di uno smaccato impegno socio-politico o pornografico, Jacovitti iniziò a
chiudersi e a lavorare fino alla morte, con eguale passione, a progetti
probabilmente più maturi che tuttavia non ebbe né voglia né tempo di proporre. In
fondo era un tipo che non aveva mai amato stare sul palcoscenico, e nemmeno tra
la gente. “A me dà fastidio la folla. Non
ho mai visto una partita di calcio per non stare in mezzo alla folla. Non vado
mai in tram perché la gente ti sta addosso. Sono solitario. Gli umoristi sono o
tristi, o solitari, o matti. Io sono tutte e tre le cose, un clown… Sto in
mezzo, faccio cose strane e la folla intorno… Il mio umorismo è basato
sull'assurdo, anche se ho dei riferimenti ad un'epoca precisa, gli anni Trenta:
i vestiti, i costumi, le automobili di Ridolini, gli aerei tozzi. E poi sembrava
che tutto funzionasse meglio, la posta arrivava il giorno dopo… Ma forse perché
ero ragazzo e quando si è ragazzi si è più felici”.
Senza
apparenti rimpianti e soprattutto in punta di piedi, l’inventore di Cocco Bill
se ne andrà per sempre il 3 dicembre 1997.
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