Erwin Rohde
BREVI ANNOTAZIONI SU ‘ROMANZO E DECADENZA’
Da Platone a Spengler, passando per Nietzsche e
Rohde
di Alberto Rosselli
Con la perdita del
mondo chiuso ed omogeneo della polis greca, si perde quella “Einheit des Stils”
peculiare della “vita comunitaria organica (Erwin Rohde, Der Griechische Kulturgeschichte,1960,
18 – Lezioni tenute dal 1872 al 1880) caratteristica di tale formazione. E
questa perdita di omogeneità si manifesta sostanzialmente in una radicale
scissione tra una massa di ignoranti ed una élite di colti. A ben vedere,
taluni sistemi filosofici (come lo stoicismo, l’epicureismo e lo scetticismo)
si sviluppano quali ‘surrogati’ di quell’antica religione. L’amore ‘a-mistico’
è il sentimento che prevale in questa nuova massa urbanizzata, a sottolineare
una romanticizzazione dell’antico mondo d’eroi e l’esaltazione di una
sensibilità peculiarmente femminile.
Nel Romanzo
“l’amore – spiega Rohde – si impossessa completamente dell’anima degli
innamorati (E. Rohde, 1960, 167), le cui vicende costituiscono il filo
conduttore se non il solo motivo della stessa narrazione romanzesca. Ma
facciamo un passo indietro. Come per Nietzsche, presupposto della nascita di
una nuova realtà culturale moderna e urbanizzata in cui si produce il Romanzo è
il “Verfall des mythischen Glaubens” (E. Rohde, 1960, 12) dei Greci antichi in
favore di una visione individualistica, a sua volta prodotto di una mutata
situazione storica. In questa fase, infatti, l’abitante dell’antica polis sradicato dal ristretto
ambito del suo gruppo gentilizio gelosamente mantenuto e dalla comunità urbana,
viene gettato nell’illimitata vastità delle terre barbariche, sballottato nelle
nuove e grandiose formazioni di enormi città, in cui aveva come coabitanti
Greci d’ogni parte mescolati a ‘genti di mezzo’ attiche e ad una quantità
preponderante degli antichi abitanti di stirpi barbariche, dovette – indotto
già da lungo tempo alla più libera osservazione del mondo e della vita –
“diventare necessariamente un cosmopolita e cessare di essere un Greco nel
senso antico del termine” (E. Rohde, 1960, 16 s.).
All’elemento
erotico, nell’ambito di questa nuova civiltà aperta, che ha cioè rinnegato o
superato l’antico principio del ‘limite’, del sacro e dell’epico, secondo Rohde
si aggrega l’affabulazione sviluppatasi, nel frattempo, intorno alla tematica
‘extra polis’ del ‘viaggio’ che, avendo come oggetto il misterioso Oriente,
pareva trovare in queste terre remote e misteriose (almeno in apparenza) anche
una nuova fonte letteraria (prendiamo ad esempio i viaggi di Sinbad). Il
Romanzo di Antonio Diogene, ‘Le meraviglie di là da Thule’ costituirebbe in tal
senso un’evidente commistione tra il fantastico etnografico (di cui fanno parte
anche le utopie filosofiche quali ‘l’Atlantide’ di Platone, gli ‘Iperborei’ di
Ecateo, etc.) e il sopra accennato elemento erotico.
Abbiamo accennato a
Platone in quanto, stando alle osservazioni di Nietzsche, il suo ‘dialogo’ risulta il vero precursore
del Romanzo Antico (“Platone ha in effetti fornito alla posterità il modello di
una nuova forma d’arte, modello del Romanzo: questo si può anche definire al
pari di una favola esopica infinitamente sviluppata, in cui la Poesia vive
rispetto alla Filosofia dialettica in un rapporto gerarchico simile a quello in
cui per molti secoli la
stessa Filosofia ha vissuto rispetto alla Teologia come una
specie di ancilla”, F. Nietzsche).
Sempre riguardo al ‘dialogo’
platonico (che è un po’ il progenitore del Romanzo classico), va notato che il
filosofo tedesco vede in esso, sia nella sua forma spuria che nella sua
mescolanza di stili, sia nei contenuti r nei valori che esso porta avanti, un
una nuova tendenza diciamo culturale sociologica: quella di una civiltà di
curiosi emotivi che hanno deciso di rinnegare il ‘mito’ per scovare, seppure
con grande acume e sensibilità, commozione nei drammi personali e psicologici
delle trame romanzesche. Non a caso, la tragedia di Euripide, rappresentazione
dal carattere emotivo e psicologico, distruttrice del senso dionisiaco dell’esistenza,
avrebbe avuto in Socrate l’elaboratore dei suoi dialoghi.
Pur se enucleati
senza l’enfasi di colui il quale avverte preoccupanti segnali di pericolo, i
dati citati da Rohde quali componenti del Romanzo antico vanno comunque
ascritti ad una fase di decadenza, ed ancora su questa linea si muove un
ulteriore elemento concorrente a questa formazione letteraria: “La retorica
della seconda sofistica, o eristica (all’eristica non interessa se un discorso possa
essere vero o falso né le definizioni delle parole che vengono impiegate; il
suo unico fine è quello di confutare il proprio avversario e di persuaderlo di
avere ragione mediante la retorica), imparentata a sua volta a quella retorica asianica (come è noto, l’asianesimo
- Asia Minore, III Secolo a.C. - fu uno stile retorico ridondante,
barocco ed ampolloso, con un uso frequente di frasi spezzate, di metafore e di
parole inventate e di ricerca del ritmo) si trasformò da pratica ‘tribunalizia’ o giudiziaria
in sfoggio essenzialmente ludico per feste e tornei” (Rohde, 1960, 310
s.). Tale forma di retorica si sarebbe poi riversata nella Theaterphilosophie
dei ‘nuovi’ sofisti che si esibivano per lo più in sale pubbliche, attenti (a
quanto pare) molto meno al contenuto dei discorsi che alla bellezza formale. Ma
Rohde – azzardiamo noi – non fu certo un Kulturphilosopher, né lo fu Nietzsche,
che , a quanto ci risulta, scelse di volgersi alla ricerca di un valore etico
Inerente all’uomo al di là delle sue manifestazioni squisitamente culturali.
Il problema della
decadenza (e la sua probabile, se non certa, inerenza con il Romanzo)
analizzato nell’ambito della cultura occidentale trova invece espressione più
vasta e puntuale nella visione di Oswald Spengler, che pur fa suoi tutti i
motivi enunciati da Nietzsche e da Rohde. In questo breve lavoro non si intende
certo criticare illustri filosofi o sintetizzare il pensiero cupo, pesante, ma
veritiero e cassandrico di uno Spengler, né tantomeno sviscerare la complessità
di quella corrente culturale teorica della Decadenza che si costituì nella
Germania del primo Novecento. Ci accontenteremo, infatti, di considerare
soltanto alcune figure e talune connessioni attraverso le quali è possibile
rintracciare i chiari segni del leit motiv della Decadenza nel suo particolare rapporto
con la ‘Civiltà
del Romanzo’.
La prima edizione
del ‘Tramonto dell’Occidente’ è del 1918, quella definitiva, completa e
riveduta è del 1923 e viene data alle stampe a Monaco di Baviera. In questa
città opera da tempo l’africanista, esploratore, archeologo ed etnologo (e
agente segreto del Kaiser) Leo Frobenius che nel 1922 vi fonda il
Forschungsinstitut fur
Kulturmorphologie, attorno al quale si raccolgono, tra gli altri, Walter
Friedrich Otto, Karl Reinhard, lo stesso Spengler, Karoly Kerényi, Franz
Altheim (primo studioso del dilemma Romanzo-Decadenza e primo, grande, analista
del Romanzo non come genere letterario, ma come ‘prodotto’ storico-culturale) e
Adolf Ellegard Jensen. La teoria (ci si consenta: simil-vichiana) dei ‘cicli
culturali’ viene elaborata dal Frobenius (1873-1938) a partire dalla fine
dell’Ottocento: è infatti del 1897 la pubblicazione del volume Westafrikanische
Kulturkreis e dell’anno successivo Der Ursprung der afrikanischen Kulturen.
Inerente a tale dottrina è il principio di un ‘valore omogeneo della cultura’,
da verificarsi non in espressioni di carattere materiale, ma in una sua
immagine globale, ossia del Weltbild che essa elabora. Questi principi-guida
dell’africanista teutonico vengono quindi approfonditi e analizzati in Paideuma
(1921) e in Schiksalskunde im Sinne des Kulturwerdens (1932) in cui
nell’elaborazione di una vera Kulturphilosophie egli cerca nessi simbolici nell’ambito
di ‘forme culturali unitarie’.
Da questi dati
sintetici non si evidenziano tuttavia nell’etnologo tedesco accenni specifici
al tema della Cultura del Romanzo in riferimento al principio della Decadenza.
Ciononostante, emergono pur sempre tracce che conducono direttamente alla sopra
accennata problematica spengleriana: la ciclicità e l’organicità delle culture,
lette in una sorta di irripetibile originalità ed omogeneità. Similmente a
Frobenius, Spengler cerca infatti di scoprire in ciascuna cultura il suo
‘stile’, il principio originario sul quale si fonda l’insieme dei suoi valori,
e con tale strumento procede all’elaborazione di una ‘morfologia della Storia
mondiale’.
Spengler cerca
delle costanti e quindi individua una precisa analogia tra il ‘tramonto del
mondo classico’ e ‘una fase della storia mondiale che abbraccerà diversi secoli
e di cui attualmente stiamo vivendo il principio’. La decadenza della Grecia
antica viene individuata nel tramonto della cultura della polis, del suo
mito quale principio ordinatore ed etico, e nella costituzione dei nuovi regni
con le grandi città cosmopolite.
Qui Spengler
enuncia quel principio di Decadenza manifestantesi nella fase di Zivilisation,
che accomuna la metropoli antica a quella moderna in un’irreversibile
sclerotizzazione. “Invece di un Mondo, una Città, un unico punto in cui si
raccoglie l’intera vita di vaste regioni, mentre il resto isterilisce; invece
di un popolo formato, legato alla sua terra, un nuovo ‘nomade’, un parassita:
l’abitante delle grandi città moderne. Un uomo pratico e senza tradizioni, un
uomo irreligioso, intelligente ma infecondo, profondamente avverso al contadino
e alla nobiltà terriera. Ciò rappresenta un passo gigantesco verso
l’inorganico, verso la fine (Spengler)”. Poi egli passa ad indicare nella
cultura alessandrina l’espressione antica di tale Decadenza, allorché alla grandiosità
della Tragedia classica si sostituisce il Dramma in cui predominano i
caratteri, la psicologia, e si afferma una filosofia che non è altro che pura,
seppur colta e raffinata, retorica.
In tale realtà,
così come nella contemporanea realtà occidentale, si costituirebbe attraverso
il Romanzo “una tipica letteratura da grande città” (Spengler). Ed in
quest’ambito si produrrebbe anche un particolare linguaggio, quello di una koinè
linguistica caratterizzate tutta la letteratura dei grandi centri cosmopoliti
ottocenteschi.
Pur non
approfondendo specificatamente il discorso del Romanzo, Spengler ne delinea
quindi le valenze storico-culturali in quanto espressione tipica di una Zivilisation.
In questo contesto, da Nietzsche a Spengler appare pertanto già ben delineato
quel principio che lega la nuova creazione d’epoca ellenistica e tardo-romana
ad un principio di Decadenza che viene qualificato per una sorta di
sclerotizzazione, di ammasso inorganico in senso simbolico e concreto nella
visione del Paesaggio Metropolitano. Ma in ciò, l’atteggiamento conclusivo non
si risolve in una nostalgica lode della Tradizione e in uno sdegnoso
allontanarsi dal presente, ma nel richiamo lucido ad una consapevolezza
dell’attualità, alla coscienza di essere nella Zivilisation, e quindi di
doversi esprimere necessariamente con i mezzi che questa offre.
Franz Altheim, che
bazzica intorno al gruppo e alla collana storico-religiosa dei Frankfurter
Studien (a Francoforte aveva ottenuto nel 1924 il dottorato con una tesi
intitolata Die Komposition der Politik des Aristoteles),
mutua da Frobenius un interesse per la Storia culturale e una chiara prospettiva
relativistica che, nell’ambito della Storia antica si risolve in un abbandono
del ‘centralismo romano’.
Altheim non è un
lettore di romanzi, né è mosso da un interesse puramente filologico, per cui la
sua ricerca si ispira più che altro ai ‘classici’, Gibbon Tocqueville,
Burckhardt, Nietzsche e Spengler. Questa scelta si armonizza del resto con il
tipo di domanda ch’egli si pone: non il problema di un’esatta datazione del
Romanzo antico, né tantomeno di una cronologia relativa e neppure delle fonti
letterarie dalle quali esso si origina, ma l’ambiente storico-culturale in cui
si sviluppa ed i valori che attraverso questo si affermano. “Nessuno ha ancora
compreso – scrive Altheim - che il
Romanzo ha a che fare con l’acceso dibattito sul problema della Decadenza” .
Decadenza che si tinge dei colori spengleriani e della sua terminologia. Per Altheim,
infatti, al culmine del processo degenerativo si pone la Welstadt quale “grande
simbolo dell’informe” in cui “le
masse umane vengono tra loro mescolate come dune del deserto”. Qui l’autore
vede fiorire più rigoglioso il Romanzo, in una realtà ch’egli qualifica come
fase di “tarda civilizzazione metropolitana”.
Come Spengler,
Altheim vede l’inizio di tale fase degenerativa in epoca moderna collocarsi
agli inizi del XIX secolo e considera la propria epoca pienamente coinvolta in
tale processo. Ma come Spengler, o forse più chiaramente di lui, non pone la
propria valutazione su base morale, ma nei termini di una ‘morfologia storica’
per cui anche la crisi va valutata nella sua pienezza e nella sua forza
creatrice.
Il Romanzo è, in
ultima analisi, il prodotto di tale forza, come lo è la metropoli, la società
cosmopolita che la costituisce: quell’afflato che si esprime nello sradicamento
borghese, in un viaggio dalla meta incerta, quale ‘evasione’ del corpo e dello
spirito.
La Decandenza
dell’epoca contemporanea, come il Romanzo, è il ‘nuovo modo di essere’ di
un Occidente incerto e senz’anima che pone da tempo in autolesionistica
discussione il suo passato e le basi della sua tradizione. E’ crisi finale di
un processo storico che si fonda sulla storia e le vicissitudini di popolazioni
definite dai loro stessi territori e dai loro cicli evolutivi, e che purtroppo
– ma forse inevitabilmente - è sfociato nell’ammasso pietrificato delle
‘città-mondo’, delle metropoli scenario di narrazioni nuove e lontane dal vero
spirito della Tradizione: segnale, forse, di una più vasta e inconoscibile
“magnifica assenza di fini”.
Nessun commento:
Posta un commento