SIRIA E TURCHIA AI FERRI CORTI
di Alberto
Rosselli
L’abbattimento,
avvenuto il 22 giugno scorso, del F-4 Phantom turco decollato dalla base
anatolica di Erhac, ha contribuito ad accrescere una tensione già in atto da
tempo tra Siria e Turchia: due Stati che, pur condividendo alcune vedute di
politica internazionale e transnazionale (l’idiosincrasia nei confronti di
Israele e l’atteggiamento schizofrenico nei confronti del popolo curdo, per
nulla amato da entrambe i Paesi, ma ‘adoperato’), stentano in questi ultimi
mesi a trovare intese. Pur avendo dichiarato di “deplorare al cento per cento
l’azione della contraerea siriana” che, a parer suo, avrebbe adoperato un
corridoio aereo già utilizzato da aviogetti israeliani (“Sarei stato felice se
il jet abbattuto fosse appartenuto all’aviazione di Te Aviv”, il pubblico
rammarico del leader di Damasco nasconde un’imbarazzate realtà – quella
relativa ai pessimi rapporti esistenti tra i due Paesi – ed una tensione
riconducibile ad irrisolti ed ormai vecchi contenziosi, in parte occultati da
liti recenti. Come è noto, a partire dal marzo 2001 i rapporti diplomatici tra Ankara
e Damasco si sono deteriorati in seguito alla repressione decisa dal regime baathista
di Bashar al-Assad contro i suoi oppositori interni: repressione che, stando
alle stime delle Nazioni Unite, ha provocato la morte di quasi 16.500
individui, molti dei quali appartenenti all’Esercito Siriano Libero che gode
delle simpatie ‘interessate’ del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. Ricordiamo
che da tempo la Turchia ospita molti rifugiati siriani (compresi militari
disertori) avversi al dittatore Assad, deciso a “normalizzare” le province
ribelli, in parte abitate da elementi curdi facenti parte di una minoranza
relativa che conta ben un milione e mezzo di individui, gran parte dei quali
presenti nella regione nord-orientale di al-Hasake. Nel tentativo di
‘neutralizzare’ la componente curda presente in Turchia (ma anche in Siria), lo
scorso mese di giugno Erdogan ha ospitato ad Istanbul il Consiglio Nazionale Siriano
(Snc) - una delle principali organizzazioni di opposizione - che ha eletto il
suo nuovo leader, il curdo Abdul-Basset Sayda, interessato a cooptare altri
soggetti del variegato mosaico curdo-siriano (ricordiamo che ben 11 partiti curdi, tra
cui il Pyd, sezione siriana del Pkk di Abdullah Öcalan, considerato fuori legge da Ankara, non hanno
aderito al Consiglio Nazionale Siriano) in un Snc che
sembra fatto su misura per i progetti di Erdogan. Il premier punterebbe ad una
‘pacificazione’ della componente curda anatolica, ma nel contempo non
negherebbe il sostegno, in funzione anti siriana, a quella posta sotto la
giurisdizione di Damasco: giochino che, ovviamente, Assad non gradisce affatto.
Non ha caso, sembra che Damasco stia lavorando, a sua volta, per minare la
solidità del Snc, appoggiando (nel 1997, Damasco diede perfino asilo ad Ocalan,
ricercato dalla polizia turca) elementi del Pkk dichiaratamente ostili alla
Turchia in quanto decisi ad ottenere ad un’autonomia totale del Kurdistan
anatolico: progetto, quello siriano, che vanificherebbe i piani di Erdogan e ne
indebolirebbe il prestigio interno. Ma le gravi ‘incomprensioni’ tra Siria e
Turchia non si limitano soltanto alle già complesse questioni di cui si è
detto. Rammentiamo che tra Damasco ed Ankara rimango, infatti, irrisolte alle
due spinose questioni geopolitiche che fanno da zoccolo all’attuale crisi: il
contenzioso di Hatay, regione siriana che nel 1939 passò alla Turchia in seguito
ad un referendum mai riconosciuto da Damasco, e lo sfruttamento dei fiumi Tigri
ed Eufrate che Ankara ha di fatto opzionato a suo esclusivo vantaggio (e a
detrimento dei diritti idrici di Siria e Irak) con la realizzazione del mega Progetto
del Sud-Est dell'Anatolia (GAP) destinatoa ‘trattenere’, attraverso le
dighe di Birecik e Karkamis, sull'Eufrate, ed altre tre (Kralkizi, Dicle e
Batman) sul Tigri, gran parte dell’oro blu che un tempo defluiva verso la
Mezzaluna fertile.
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