RECENSIONE DE 'L'OPPORTUNITA' ANDALUSA'
Settimanale Venezia Sette (12/12/1999)
di Aurelio Valesi (*)
Il volume L’Opportunità
Andalusa, (Lalli
Editore, Siena) di Alberto Rosselli, costituisce,
a nostro avviso, uno spaccato della storia degli ultimi decenni del secolo
Ventesimo, nell’interpretazione psicoambientale di uno scrittore ligure dalla
brillante vena surrealista, ma stranamente non ancora completamente sicuro dei
propri mezzi espressivi e stilistici, in realtà notevoli. I nove racconti
contenuti in questa breve raccolta di Rosselli, sono preceduti, non a caso, da
alcune considerazioni di P. von den Bosch, che rendono con stringata
concretezza la realtà psichica e spirituale del mondo all’indomani dell’ultimo
conflitto planetario. Poiché è proprio in tale realtà gli scritti di Rosselli debbono
essere inquadrati, poiché da quest’epoca hanno tratto le loro linfe di gaia e
cerebrale disperazione e di sconsolato divertimento. Tra le righe dell’autore,
che da buon ligure si guarda bene dall’esibire, emerge con evidenza una
profonda anche se disincantata sensibilità frammista alla tradizionale tensione
morale che emana la sua aspra ma tinteggiata terra di origine. Tutti gli
episodi narrati risultano caratterizzati da un registro espressivo di qualità
contenutistica e di ricercatezza stilistica, a tratti volutamente retrò, anche se i più rimarchevoli e
riusciti, cioè “Amerigo”, “L’Opportunità
andalusa”, “Bernardo di Basancourt”
e “Gustavo”, sembrano – riguardo al
tema - quelli maggiormente riconducibili all’esperienza esistenziale di questo non noto, ma curioso ed ‘autonomo’ narratore.
Più che scrivere, Rosselli ama
infatti narrare e trascinare a sé il
lettore con il suono suadente, ma discreto e finanche pudico del suo piffero magico. Note gradevoli quelle di
Rosselli, anche se a tratti intervallate da digressioni sonore e virtuosismi
forse non necessari nell’economia di un lavoro di per sé già sufficientemente
convincente.
Una sorta di fiaba psicosociologica ambientata nel
Centro Storico della Lanterna è quella di “Amerigo:
momento narrativo di un freddo e “genovese”surrealismo, dominato dal topo Carducci,
un autentico personaggio; dal deuteragonista Amerigo, un inventore di
giocattoli inutili ma geniali, e da una pattuglia di figure minori ma comunque efficacemente
caratterizzate, quali la
signora Totaro, la gatta Luisa e il colonnello Lupis, ma anche il
cinico e pragmatico padre di Carducci o la fidanzata dell’inventore, Orsola.
Ne “L’Opportunità
andalusa” (splendido titolo, per inciso), Rosselli ricrea un’estate tipica
degli anni Settanta che pur nella sua specificità storica rammenta a tutti la
disordinata meraviglia d’ogni giovinezza. Anche qui è presente un’atmosfera tipicamente
surreale, ma questa volta più pazza, cinetica, colorata: cinematografica si
direbbe. Con sempre, a fare da basso continuo, il solito pungente spirito
d’osservazione, seppure come disciolto in un’aura di distratta nonchalance.
L’esordio di “Bernardo
di Basancourt” è esempio efficace dello stile constatatorio con cui l’autore sottolinea il livello d’indecenza
del prossimo, senza barocche lamentele, ma con una sorta di annoiata
stanchezza, che non riesce a nascondere del tutto la ferita inferta alla sua sensibilità.
La preoccupazione per la salvaguardia della classe (quella del comportamento,
non quella politica o sociale), che si rivela indispensabile soprattutto nelle
peggiori avversità economiche ed esistenziali, s’accompagna nel protagonista
del racconto a una distaccata spietatezza nella descrizione dei propri opposti,
gli arricchiti cafoni ansiosi d’ogni apparenza, gli ottusi, gli aridi, i ‘senza
cuore’. Pure in codesta costruzione narrativa vi sono gustosissime (e amare)
rappresentazioni dell’umanità notturna che s’addensa in locali squallidi e
disperati (i bellissimi “caffè duri a morire”), ma affascinanti nella poetica
resa espressiva.
“Gustavo”,
l’ultimo racconto del volume di Rosselli, si direbbe una summa esistenziale dei
precedenti, oltre che il più autobiografico, per fortuna non completamente. In
esso tutti i pregi dell’autore si manifestano con la massima forza. La
descrizione della Genova medioevale (non quella urbana, ma quella storica) è di
una vivacità e di un’energia plastica ammirevoli: un affresco poetico e
realistico dove è possibile avvertire appieno il pulsare della quotidianità di
quei tempi gloriosi e passati. Anche le righe dedicate al disegno urbano del
capoluogo ligure sono di singolare acume, e ricche di azzeccate osservazioni
storico-sociali. Quando poi il narratore vagabonda durante le ore piccole nel
ventre basso della città, ha occasione di coglierne le atmosfere insieme
vitalistiche e melanconiche, descrivendone gli individui strani o comuni che vi
si aggirano con tratti di sintetica ma penetrante concretezza. Memorabile, a
questo proposito, il dipinto che l’autore fa dell’interno di un noto locale di
Via Gramsci, con i suoi avventori consueti ma mai banali; esseri squallidi, ma
mai macchiette: piuttosto uomini e donne veri, d’esperienza, di aspirazioni
mancate, e di pena.
Da rilevare, infine, in Rosselli la particolare capacità
di saper riassumere in nomi propri le peculiarità negative estetiche, caratteriali
e morali di persone, luoghi e nazioni. I coniugi Piscionet sono gli arricchiti di recente nomina e Cialtronia è una nazione a noi purtroppo
ben nota. La denominazione, quanto mai appropriata, è riferita naturalmente
agli ultimi decenni del nostro Paese: non certamente al suo futuro, si spera già
cominciato, e soprattutto alla sua millenaria storia.
Da raccomandare al lettore, tra gli improbabili volumi
della misteriosa biblioteca del personaggio Gustavo, “Il castello posteriore di
Santa Teresa di Gallura”. Una vera chicca.
(*) Aurelio Valesi, genovese, poeta e traduttore di
numerose opere di famosi Autori francesi del XIX e XX secolo.
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