LA
BÊTE DU GEVAUDAN
Storia
di un enigma criptozoologico che a distanza di oltre due secoli e mezzo fa ancora
discutere gli studiosi di tutto il mondo. Tra il 1764 e il 1767, nella regione
francese del Gévaudan, una strana creatura dei boschi fa strage di pastori e
contadini. Dopo il ritrovamento dei primi corpi straziati, la colpa di tali
massacri viene attribuita agli artigli e ai denti di un grosso lupo. Anche se
ben presto, sulla base delle descrizioni fornite dai pochi scampati agli
assalti, la terrorizzata popolazione del distretto inizia ad avanzare le più
svariate ipotesi, compresa quella che tra le Cevenne e l’Alvernia meridionale
si aggiri in cerca di prede un animale ben diverso e ben più temibile di un
lupo.
Fino dai tempi più remoti, l’uomo ha tramandato storie e leggende a
testimonianza della durezza e della imprevedibilità dei suoi rapporti con una
natura prodiga di doni ma anche di innumerevoli pericoli, e di terrore. E
nell’ambito di queste cronache che affondano le radici nei primordi di tutte le
civiltà - anche a dispetto delle diverse situazioni geografiche e delle singole
caratterizzazioni socio-culturali e religiose - frequenti appaiono anche i
riferimenti, spesso dilatati dall’immaginazione e dalla superstizione, a oscure
e temibili entità animali terrestri, acquatiche ed aeree. Creature queste
dotate di poteri straordinari e malvagi, al punto da essere state trasformate,
non di rado e per una sorta di esorcismo, dagli stessi uomini in idoli
meritevoli di rispetto. Molte antiche leggende, ma anche diverse e più
attendibili cronache medioevali o moderne riportano infatti alla luce drammatici
e completi resoconti relativi all’apparizione di strani e feroci perturbatori
della vita di un’umanità già impegnata nella dura lotta per la sopravvivenza.
Tra queste cronache, un posto di rilievo spetta a quella della Bête du
Gévaudan, il misterioso predatore che, tra l’aprile del 1764 e il giugno
1767 - in Francia, in una vasta area compresa tra gli attuali dipartimenti
dell’Haute Loire, Cantal, Ardèche e Lozère - uccise e mutilò orrendamente ben
172 persone. Sulla vicenda relativa a questo indecifrabile mostro esiste
infatti una vasta e documentata
bibliografia che, in gran parte, trae i suoi spunti da alcuni testi
basilari redatti nel XVIII secolo, tra cui la Storia fedele della Bestia del
Gévaudan di Henri Pourrat e la dettagliatissima Storia della Bestia del
Gévaudan, autentico flagello di Dio dell’abate Pourcher.
La leggenda della Bête du Gévaudan, inizia la prima settimana
di aprile del 1764 quando, nei pressi del villaggio di Langogne
(località dell’Ardèche), una pastorella intenta ad accudire su un prato la sua
mandria di mucche viene aggredita da una grossa belva sbucata dalla foresta.
L’animale cerca di azzannare la piccola, ma fortunatamente i suoi animali la
contrattaccano mugghiando, salvandole la vita. Rientrata al suo paese, la
povera pastorella racconta l’episodio, precisando di essere stata assalita non
da un animale qualsiasi ma da “un’enorme belva dal pelo molto folto e
rossiccio e dalle zampe dotate di lunghi artigli”. I contadini, ovviamente,
non le credono e si convincono che si tratti di un lupo, un animale a
quell’epoca piuttosto diffuso in tutta la Francia centromeridionale. Tuttavia,
ai primi luglio, nei pressi di Saint-Etienne-de-Lugdarès (una ventina di
chilometri a sud est di Langogne), la misteriosa belva si fa di nuovo viva sbranando
una contadina quattordicenne, Jeanne Boulet. Poi, in rapida successione, tra
luglio e agosto, un’altra ragazzina e due ragazzi vengono attaccati ed uccisi
nei pressi di Puy Laurent en Lozère e tra Cheylard-l’Êveque e la foresta di
Mercoire, mentre una quarta fanciulla di Masméjean-d’Allier (Gévaudan) viene
azzannata, ma lasciata in vita. La poveretta, seppur agonizzante, riferisce di
essere stata aggredita da “una bestia orribile, metà lupo e metà tigre, con
grandi artigli e lunga coda”. La drammatica testimonianza, che sembra
combaciare con quella fornita dalla pastorella di Langogne, mette finalmente in
allarme le autorità locali, che organizzano alcune infruttuose battute. Alla
fine di agosto, la Bête ricompare nei pressi di Cheylard-l’Êveque
e Prades, assalendo e ferendo altri due quindicenni. Nel tardo pomeriggio del 6
settembre, il misterioso animale uccide nei pressi di Arzenc una donna di 36
anni intenta a lavorare nel suo giardino. Dall’esame dei resti dei cadaveri
delle vittime, le autorità e la gendarmeria cercano di trarre alcune
indicazioni circa le caratteristiche della misteriosa fiera. Contrariamente
alle abitudini del lupo, essa non divora la vittima, ma dopo averla dissanguata
azzannandola alla gola, le rovista tra le visceri, non disdegnando di fare
scempio della testa e del viso. Tra il 16 settembre e il 27 dicembre 1764,
gli attacchi si moltiplicano: più di 15 tra ragazzini e donne, per la maggior
parte contadini e pastori, vengono uccisi o gravemente feriti dall’animale che
subito dopo i suoi attacchi riesce sempre a dileguarsi nel nulla, lasciando sul
terreno orme profonde, prive delle tre fossette tipiche della pesta del lupo.
Molti contadini della regione iniziano a dare credito alle testimonianze delle
vittime circa la mostruosa natura dell’animale e, di conseguenza, il panico
inizia a diffondersi tra la popolazione del Gévaudan, obbligando l’intendente
della Languedoc, M. Lafont, un avvocato di Mende, a riunire i sindaci e i
responsabili della gendarmeria per organizzare una più articolata difesa
comune. Dopo avere raccomandato alla popolazione di non allontanarsi troppo dai
villaggi ed avere intensificato le battute (alcune centinaia di gendarmi e
contadini, armati di moschetti e schioppi setacciano senza alcun successo una
vasta area), l’intendente decide di mettere al corrente della cosa Parigi,
affinché il governo centrale intervenga con l’invio di uomini da
affiancare al capitano dei dragoni Duhamel, che dal 20 novembre, al comando di
una squadra di 17 lancieri e 40 soldati a
piedi armati di moschetto, sta setacciando, senza risultati apprezzabili,
l’intero distretto. Ma all’improvviso, nei pressi del bosco di Chazot, Duhamel
riesce finalmente ad individuare la Bête, che riesce tuttavia a sfuggire
all’accerchiamento dei suoi armati. Il 22 dicembre, l’ufficiale e i suoi
cacciatori se la trovano nuovamente di fronte, a poche decine di metri, e per
nulla intimorita. Duhamel le spara con il suo fucile, ma la manca. Anche gli
altri uomini aprono il fuoco, ma la belva è ben lesta nello schivare i colpi e
nel guadagnare la macchia. In quest’occasione, il capitano dei dragoni ha però
il tempo di osservarla: “La Bête de Gévaudan non è certamente un
lupo, ma uno strano e sconosciuto ibrido”, riferirà più tardi alle
autorità.
Intanto, in Francia, l’animale è già diventato una leggenda.
L’incredibile numero delle vittime, la modalità delle aggressioni e,
soprattutto, le paurose descrizioni della fiera, contribuiscono a creare un
vero caso (nel novembre 1764, a Parigi, la libreria Deschamps espone la prima
raffigurazione pittorica di fantasia della Bête intenta a divorare una
fanciulla), a tal punto che lo stesso Luigi XV inizia ad interessarsi
personalmente alla questione. Il sovrano ordina a Monsieur Denneval - un
gentiluomo normanno, capo dei “lupattieri” del re, che vanta l’abbattimento di
ben 1.274 lupi - di recarsi nel Gévaudan assieme ai suoi figli, a sei
assistenti e ad una torma di feroci cani da caccia. Attraverso uno speciale
editto (quello del 27 gennaio 1765), Luigi XV promette inoltre 6.000 livres
di premio all’abbattitore del mostro. Effettivamente, le descrizioni che,
aggressione dopo aggressione, vengono raccolte per bocca dei superstiti
risultano sconcertanti. Tutti gli scampati agli attacchi della Bête , ma
anche i militari e i battitori, sembrano concordare sul fatto che non si tratti
affatto di un lupo, ma di una creatura straordinaria. L’animale sembra essere,
innanzitutto, di taglia molto più grossa rispetto ad un canide. Alcuni arrivano
a dire che le sue dimensioni si avvicinano a quelle di un mulo, di un asino o
di un vitello. La fiera, ricoperta da un manto piuttosto lungo, rossiccio e
striato sul dorso, avrebbe una specie di gobba. La sua grossa testa, con
orecchie appuntite e pelose, le grosse fauci con denti acuminati, darebbero
l’idea di un felino. Le zampe, dotate di
sei lunghi artigli, potrebbero appartenere ad un puma, ad una tigre o ad una
leonessa. Ma la caratteristica veramente unica di questo strano esemplare
parrebbe la postura. Quasi tutti gli scampati giurano di avere visto l’animale,
poco prima dell’attacco, drizzarsi sui possenti arti posteriori emettendo dalle
fauci una specie di ruggito simile al nitrito di un cavallo spaventato.
Ce ne è abbastanza per fare scuotere il capo all’esperto Monsieur
Denneval e ai suoi collaboratori. Sulle prime, i “lupattieri” del re -
nonostante la testimonianza dello stesso Duhamel - non credono affatto a questi
resoconti e propendono per l’ipotesi di un grosso lupo, anche perché quasi
tutte le aggressioni si sono verificate sul fare della sera, l’ora in cui
questo tipo di animale è solito cacciare. Essi attribuiscono le colorite
descrizioni dei sopravvissuti allo stato di panico e all’ignoranza. Anche se
non sanno darsi spiegazioni circa le modalità di attacco dell’animale e la sua
propensione ad azzannare alla gola le vittime e a decapitarle, non prima di
averle dissanguate. Anche le devastanti ferite inferte dalla bestia appaiono,
in realtà, diverse da quelle provocate da un lupo qualsiasi: oltre ad usare i
denti, la bestia lacera profondamente i tessuti con gli artigli, proprio come
un felino.
Nell’inverno 1764-1765, Denneval indaga a fondo, raccoglie prove,
esamina i resti delle vittime, studia le tracce lasciate dalla Bête ed
organizza nuove battute, tutte però senza esito. Il 1° gennaio 1765, sui monti
del Margéride, tra l’Haute-Loire e la Lozère, viene abbattuto un grosso lupo.
Si grida alla vittoria, ma il 12 dello stesso mese, nei pressi di Coutasseire,
sette coraggiosi ragazzini si vedono costretti ad affrontare la Bête,
sbucata all’improvviso da un fitto bosco, soltanto con qualche coltello ed
alcuni bastoni. L’animale sbrana un paio di fanciulli, ma alla fine, grazie
all’ardimento dei fanciulli che non esitano a colpirlo ripetutamente, esso è
costretto a ritirarsi nella foresta.
L’episodio scuote le coscienze della popolazione e frusta l’orgoglio
dei “lupattieri” che intensificano le loro battute, iniziando ad utilizzare
anche trappole, tagliole ed esche al veleno: soluzione, quest’ultima, che viene
ben presto abbandonata a causa della morte di molti cani utilizzati dagli
stessi cacciatori per inseguire la Bête. Poche settimane più tardi da
Parigi giungono addirittura alcune compagnie di dragoni a cavallo a dare man
forte ai cacciatori. Ma la belva, per nulla intimorita da questo sempre più
vasto dispiegamento di forze, continua ad imperversare nella regione, coprendo
lunghe distanze, effettuando agguati nelle zone più disparate e, pur
prediligendo le aree boscose e lambite da corsi d’acqua, avvicinandosi sempre
più ai centri abitati. Il 16 aprile 1765, la Bête attacca per la prima
volta un uomo a cavallo e il 1° maggio un gentiluomo, Monsieur de La Chaumette,
se la ritrova addirittura alla finestra della sua fattoria. De la Chaumette,
con alcuni uomini, si arma e a quanto pare la riesce a ferire l’animale, senza
però ucciderlo. Sul terreno vengono trovate abbondanti tracce di sangue. Il
gentiluomo riferisce la notizia a Monsieur Denneval. Forse - pensa quest’ultimo
- l’animale è andato a morire nel fitto della boscaglia. Purtroppo, si tratta
di una vana speranza. Il giorno seguente, la Bête ricompare, infatti, a
pochi chilometri dall’abitazione del nobile, facendo a pezzi una donna di
cinquant’anni. Alcuni hanno addirittura l’impressione che questa astuta bestia
sia ritornata sul posto con il proposito di vendicarsi. Non pochi iniziano a
pensare che l’animale sia dotato di poteri soprannaturali. I curati della
regione vedono nella Bête uno strumento del demonio ed organizzano
processioni per allontanare il maleficio e per chiedere aiuto al Signore.
In tutta la Francia il panico dilaga, ed oltre i confini del regno
iniziano a montare le prime sarcastiche polemiche circa l’inefficienza dei
sistemi adottati per debellare il misterioso flagello del Gévaudan. Nella
fattispecie è la stampa inglese (sempre molto critica nei confronti della
società francese) a dileggiare con maggiore sarcasmo i “lupattieri” e i dragoni
di Luigi XV. Nel maggio 1765, dopo che la Bête ha fatto fuori altre
sette persone, un giornale di Londra annuncia
- con una buona dose di maligna esagerazione - che “un esercito di
120.000 soldati francesi da mesi viene tenuto in scacco da un grosso lupo”.
E’ troppo. Luigi XV decide di sostituire Denneval con Antoine de Beauterne, il
suo ufficiale porta fucile, che vanta anch’egli una vasta conoscenza in materia
di caccia. Il 20 giugno, de Beauterne (assistito dai suoi figli, da sei
tiratori scelti e da altrettanti aiutanti) inizia anch’egli il suo safari nel
Gévaudan. Il 4 luglio, nei pressi del villaggio di Broussolles, la Bête divora
la sua ennesima vittima. De Beauterne esamina il cadavere e nei suoi pressi
scopre le tracce di un lupo di dimensioni straordinarie. Verso la metà di
settembre, l’animale viene avvistato lungo il corso del fiume Allier, a ridosso
del villaggio di Pommier. Il 18, il cacciatore del re, assistito da 40 tra i
più abili tiratori della regione, incrocia finalmente la fiera, che viene
colpito ripetutamente alla testa e al corpo da una micidiale scarica di
proiettili. Si tratta, effettivamente, di un lupo di taglia veramente
notevole, con folto pelo e strane striature sul dorso. L’animale, che pesa
ben 130 libbre contro le 50 di un lupo normale, viene ripulito, impagliato e
trasportato a Parigi per essere mostrato alla corte. L’intera regione dell’Auvergne
tira un sospiro di sollievo e de Beauterne viene portato in trionfo.
Ma la festa dura ben poco. Lunedì 2 dicembre 1765, sui rilievi di
Margeride, due giovani contadini al pascolo con le loro mucche vengono sbranati
da una belva. La notizia si diffonde rapidamente e il re si adira con de
Beauterne. Ovviamente, il grosso lupo impagliato ed esposto nei saloni di
Versailles non è la Bête. Come in un incubo, gli attacchi del misterioso
animale riprendono a ritmo sostenuto, gettando nella disperazione la
popolazione del Gévaudan che ormai si credeva al sicuro.
Tra la primavera e l’inizio estate del 1766, l’animale uccide una
dozzina tra pastori e contadini. Il 18 giugno, dopo l’ultima aggressione ad un
ragazzino, un anziano contadino della frazione di Darmes
(Besseyres-Saint-Mary), tale Jean Chastel, viene convocato, assieme a 12
cacciatori, dal marchese d’Apcher, intenzionato a promuovere l’ennesima
battuta. Jean Chastel, assistito dai suoi tre figli e da una muta di cani, si
reca a perlustrare un vasto bosco. Poche ore dopo, in località Sogne-d’Auvers,
Chastel decide di fermarsi e di appostarsi tra gli alberi con i suoi. Il tempo
di rilassarsi ed ecco che dalla macchia sbuca fuori la Bête. L’animale
punta Chastel, ma l’anziano e coraggioso contadino imbraccia con calma il
fucile e fa fuoco da breve distanza, colpendo la belva che rivela essere un
grosso lupo di 100 libbre di peso. Le campane dei villaggi suonano a festa, e
come Antoine de Beauterne anche Chastel trascina la sua preda di paese in paese
per mostrarla alla gente. Poi, senza farla prima imbalsamare, la carica su un
carro e la fa trasportare a Parigi dove, tuttavia, l’animale giunge in avanzato
stato di putrefazione. I buffoni di corte trovano il modo per dileggiare il
vecchio contadino (“dalla straordinaria puzza che emana si deduce che la
Bête infernale sia proprio questa”). Tuttavia, il re fa consegnare al
povero vecchio un premio di 72 livres.
Verso l’inverno del 1766, nel Gévaudan le aggressioni di contadini
da parte di belve feroci iniziano a diradarsi progressivamente, fino a
cessare completamente alla metà dell’anno seguente. E dall’estate del 1767 gli
avvistamenti di strani animali cessano del tutto, lasciando però moltissimi
interrogativi e dubbi. Nell’arco di tre anni, la Bête ha sbranato
oltre 100 persone (certi sostengono 172), tre quarti dei quali bambini e
adolescenti ed un quarto donne. Al contrario, nessun uomo adulto - e cosa
ancora più strana, nessun capo di bestiame - risulta essere stato ferito o
ammazzato. Le ipotesi circa la natura della Bête diventano uno degli
argomenti più dibattuti di Francia, aprendo una querelle destinata a
perpetuarsi fino ai giorni nostri. Nei salotti di corte e nelle osterie dei
villaggi, i “partiti” sostenitori delle più svariate tesi si moltiplicano molto
rapidamente. C’è chi sostiene che la Bête altro non sia che un grosso
lupo, nella fattispecie quello ucciso da Chastel (dopo l’abbattimento
dell’animale, il vecchio contadino dalla mira infallibile raccontò, tra
l’altro, che il lupo da lui ucciso “si muoveva con metodo e criterio,
proprio come un animale addomesticato ed addestrato dall’uomo”), anche
perché con la sua eliminazione terminò il periodo di terrore, e c’è chi
sostiene che si trattasse di un branco composto da almeno tre grossi lupi.
Tesi, quest’ultima, sostenuta anche da alcuni zoologi contemporanei.
Ma come in tutti i casi misteriosi in cui la leggenda tende a farsi
largo tra le maglie della verità scientifica, sulla Bête fioriscono
anche le più svariate e colorite interpretazioni. Verso l’inizio del XX
secolo, alcuni pubblicisti francesi e inglesi ipotizzarono che dietro la Bête si celasse un serial killer (una
specie di Jack lo Squartatore); mentre altri - ancora più fantasiosi -
sostennero che si trattasse o di un orripilante ominide, dotato di pelliccia,
denti a sciabola e forza erculea, saltato fuori da una delle tante grotte
preistoriche presenti nella regione del Gévaudan; o forse di un mostruoso
essere selvaggio allevato ed allattato dai lupi come Romolo e Remo e da essi addestrato
a fare fuori piccoli ed indifesi cristiani. Sempre nel Novecento, altri
studiosi ed appassionati di vicende misteriose si sono lanciati addirittura in
interpretazioni alla X-Files, ipotizzando giganteschi vampiri pelosi a
quattro zampe, assetati di sangue (effettivamente la Bête era solita
dilaniare il collo delle sue vittime) o mutanti esseri alieni. Ma nella bagarre
si sono buttati anche politologi e sociologi, sostenendo che dietro la Bête si nascondesse niente meno che una strage
di stato, ordita da Luigi XV ai danni di una popolazione, quella dei
dipartimenti francesi centromeridionali, che in passato aveva dato un certo
appoggio agli ugonotti protestanti.
Accantonando, seppure con rispettoso beneficio di inventario, queste
ultime bizzarre supposizioni, agli scettici ed ai raziocinanti non rimane che
ascoltare la parola dei naturalisti, dei biologi e dei più seri esperti di
criptozoologia, gli unici, in realtà, a possedere gli strumenti tecnici e
scientifici utili a diradare le nebbie dell’ignoranza e della superstizione.
Come ha scritto Lino Penati, che nel 1976 ha esaminato con attenzione e la
dovuta prudenza l’enigma del Gévaudan, “alla luce delle più attendibili
testimonianze dell’epoca - prima fra tutte quella del curato d’Aumont,
autore di una particolareggiata memoria - si è portati ad escludere che la
Bête potesse essere un lupo. Il sinuoso corpo dell’animale, le sue
considerevoli dimensioni, il pelo rossiccio bruno, gli artigli, la coda lunga
quattro piedi, la grossa testa, le orecchie a punta e le zanne, farebbero
pensare ad un felino, magari ad una grossa lince, anche se in proposito
sussistono non pochi dubbi”. Attaccata dai cani, la Bête, infatti,
non ha mai tentato di rifugiarsi su un albero, come appunto avrebbe fatto un felino.
Senza scartare a priori l’ipotesi di una grossa lince (animale che però non
supera quasi mai i 35 chili di peso), alcuni studiosi contemporanei hanno
azzardato anche la possibilità che dietro la Bête potesse agire un
ghiottone (Gulo gulo) o un licaone: animali che tuttavia, per le loro
contenute dimensioni e per la loro particolare distribuzione geografica (il
licaone vive in Africa), male si adattano ad alcun reale paragone con la belva
del Gévaudan.
Più plausibile risulta, invece, l’ipotesi (avanzata dal biologo
americano C. H. D. Clarke, grande esperto di lupi ed affini) che la Bête fosse
un ibrido tra un grosso cane, ad esempio un molosso, ed un lupo. Ad avvalorare
questa tesi ci sarebbe, tra l’altro, l’abbattimento, avvenuto nel 1884 in
Francia, ad Argenton, di un gigantesco ibrido cane-lupo di quasi 80 chilogrammi
di peso. Sempre secondo Penati non sarebbe però da escludere un’ultima ipotesi,
fino ad oggi mai prospettata. “E se la Bête du Gévaudan fosse stata
un esemplare isolato o una coppia di tigri del Caucaso? I dati - sostiene
Penati - sembrerebbero infatti concordare: le dimensioni, le fauci, il
colore del lungo manto striato, sono elementi tipici di questo grosso felino. E
in fin dei conti, fino dall’epoca preistorica, molte delle specie animali provenienti
dall’Asia sono finite quasi tutte per approdare nel sud della Francia, nel
“ridotto” delle Cevenne”.
Ma senza bisogno di scomodare la tigre del Caucaso (purtroppo
estinta), non sembrerebbe del tutto peregrina un’ultima, simile seppur più
banale ipotesi: quella di una tigre, di una leonessa o di un giaguaro fuggito
da qualche circo ambulante o lasciato libero di proposito da un bizzarro
ecologista ante litteram.
FINE
BIBLIOGRAFIA
Abel Chevalley, La Bête du Gévaudan
Editions J’ai Lu 1972
René de Chantal, La fin d’une énigme, la
Bête du Gévaudan La Pensée
Universelle 1983
Henri Pourrat, Histoire fidèle de la bête
en Gévaudan Jeanne Laffitte 2ème édition 1985
Félix Buffiere,
La bête du
Gévaudan, une grande énigme de l'histoire Deuxième édition 1994
Abbé Poucher, Histoire de la Bête du Gévaudan
, édition Laffitte Reprints, 1996
Historia, La bête du
Gévaudan: enquete sur des meurtres en série, n. 650, Febbraio 2001
Lino
Penati, Verità e leggende sul lupo europeo, Storia Illustrata, n.229,
dicembre 1976
Helga
Hofmann, Mammiferi, Editoriale Giorgio Mondadori, 1990
Michel Louis, La bête
du Gévaudan, l’innocence des loups, Perrin, réédition, 2001
Francois Fabre, La bête
du Gévaudan, édition complétée par Jean Richard, De Borée, 2000
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