domenica 29 luglio 2012

BREVI ANNOTAZIONI SU ‘ROMANZO E DECADENZA’. Da Platone a Spengler, passando per Nietzsche e Rohde


 Erwin Rohde


BREVI ANNOTAZIONI SU ‘ROMANZO E DECADENZA’
Da Platone a Spengler, passando per Nietzsche e Rohde

di Alberto Rosselli

Con la perdita del mondo chiuso ed omogeneo della polis greca, si perde quella “Einheit des Stils” peculiare della “vita comunitaria organica (Erwin Rohde, Der Griechische Kulturgeschichte,1960, 18 – Lezioni tenute dal 1872 al 1880) caratteristica di tale formazione. E questa perdita di omogeneità si manifesta sostanzialmente in una radicale scissione tra una massa di ignoranti ed una élite di colti. A ben vedere, taluni sistemi filosofici (come lo stoicismo, l’epicureismo e lo scetticismo) si sviluppano quali ‘surrogati’ di quell’antica religione. L’amore ‘a-mistico’ è il sentimento che prevale in questa nuova massa urbanizzata, a sottolineare una romanticizzazione dell’antico mondo d’eroi e l’esaltazione di una sensibilità peculiarmente femminile.
Nel Romanzo “l’amore – spiega Rohde – si impossessa completamente dell’anima degli innamorati (E. Rohde, 1960, 167), le cui vicende costituiscono il filo conduttore se non il solo motivo della stessa narrazione romanzesca. Ma facciamo un passo indietro. Come per Nietzsche, presupposto della nascita di una nuova realtà culturale moderna e urbanizzata in cui si produce il Romanzo è il “Verfall des mythischen Glaubens” (E. Rohde, 1960, 12) dei Greci antichi in favore di una visione individualistica, a sua volta prodotto di una mutata situazione storica. In questa fase, infatti, l’abitante dell’antica polis sradicato dal ristretto ambito del suo gruppo gentilizio gelosamente mantenuto e dalla comunità urbana, viene gettato nell’illimitata vastità delle terre barbariche, sballottato nelle nuove e grandiose formazioni di enormi città, in cui aveva come coabitanti Greci d’ogni parte mescolati a ‘genti di mezzo’ attiche e ad una quantità preponderante degli antichi abitanti di stirpi barbariche, dovette – indotto già da lungo tempo alla più libera osservazione del mondo e della vita – “diventare necessariamente un cosmopolita e cessare di essere un Greco nel senso antico del termine” (E. Rohde, 1960, 16 s.).
All’elemento erotico, nell’ambito di questa nuova civiltà aperta, che ha cioè rinnegato o superato l’antico principio del ‘limite’, del sacro e dell’epico, secondo Rohde si aggrega l’affabulazione sviluppatasi, nel frattempo, intorno alla tematica ‘extra polis’ del ‘viaggio’ che, avendo come oggetto il misterioso Oriente, pareva trovare in queste terre remote e misteriose (almeno in apparenza) anche una nuova fonte letteraria (prendiamo ad esempio i viaggi di Sinbad). Il Romanzo di Antonio Diogene, ‘Le meraviglie di là da Thule’ costituirebbe in tal senso un’evidente commistione tra il fantastico etnografico (di cui fanno parte anche le utopie filosofiche quali ‘l’Atlantide’ di Platone, gli ‘Iperborei’ di Ecateo, etc.) e il sopra accennato elemento erotico.
Abbiamo accennato a Platone in quanto, stando alle osservazioni di Nietzsche,  il suo ‘dialogo’ risulta il vero precursore del Romanzo Antico (“Platone ha in effetti fornito alla posterità il modello di una nuova forma d’arte, modello del Romanzo: questo si può anche definire al pari di una favola esopica infinitamente sviluppata, in cui la Poesia vive rispetto alla Filosofia dialettica in un rapporto gerarchico simile a quello in cui per molti secoli la stessa Filosofia ha vissuto rispetto alla Teologia come una specie di ancilla”, F. Nietzsche).
Sempre riguardo al ‘dialogo’ platonico (che è un po’ il progenitore del Romanzo classico), va notato che il filosofo tedesco vede in esso, sia nella sua forma spuria che nella sua mescolanza di stili, sia nei contenuti r nei valori che esso porta avanti, un una nuova tendenza diciamo culturale sociologica: quella di una civiltà di curiosi emotivi che hanno deciso di rinnegare il ‘mito’ per scovare, seppure con grande acume e sensibilità, commozione nei drammi personali e psicologici delle trame romanzesche. Non a caso, la tragedia di Euripide, rappresentazione dal carattere emotivo e psicologico, distruttrice del senso dionisiaco dell’esistenza, avrebbe avuto in Socrate l’elaboratore dei suoi dialoghi.
Pur se enucleati senza l’enfasi di colui il quale avverte preoccupanti segnali di pericolo, i dati citati da Rohde quali componenti del Romanzo antico vanno comunque ascritti ad una fase di decadenza, ed ancora su questa linea si muove un ulteriore elemento concorrente a questa formazione letteraria: “La retorica della seconda sofistica, o eristica (all’eristica non interessa se un discorso possa essere vero o falso né le definizioni delle parole che vengono impiegate; il suo unico fine è quello di confutare il proprio avversario e di persuaderlo di avere ragione mediante la retorica), imparentata a sua volta a quella retorica asianica (come è noto, l’asianesimo - Asia Minore, III Secolo a.C. - fu uno stile retorico ridondante, barocco ed ampolloso, con un uso frequente di frasi spezzate, di metafore e di parole inventate e di ricerca del ritmo) si trasformò da pratica ‘tribunalizia’ o giudiziaria in sfoggio essenzialmente ludico per feste e tornei”  (Rohde, 1960, 310 s.). Tale forma di retorica si sarebbe poi riversata nella Theaterphilosophie dei ‘nuovi’ sofisti che si esibivano per lo più in sale pubbliche, attenti (a quanto pare) molto meno al contenuto dei discorsi che alla bellezza formale. Ma Rohde – azzardiamo noi – non fu certo un Kulturphilosopher, né lo fu Nietzsche, che , a quanto ci risulta, scelse di volgersi alla ricerca di un valore etico Inerente all’uomo al di là delle sue manifestazioni squisitamente culturali.
Il problema della decadenza (e la sua probabile, se non certa, inerenza con il Romanzo) analizzato nell’ambito della cultura occidentale trova invece espressione più vasta e puntuale nella visione di Oswald Spengler, che pur fa suoi tutti i motivi enunciati da Nietzsche e da Rohde. In questo breve lavoro non si intende certo criticare illustri filosofi o sintetizzare il pensiero cupo, pesante, ma veritiero e cassandrico di uno Spengler, né tantomeno sviscerare la complessità di quella corrente culturale teorica della Decadenza che si costituì nella Germania del primo Novecento. Ci accontenteremo, infatti, di considerare soltanto alcune figure e talune connessioni attraverso le quali è possibile rintracciare i chiari segni del leit motiv della Decadenza nel suo particolare rapporto con la ‘Civiltà del Romanzo’.
La prima edizione del ‘Tramonto dell’Occidente’ è del 1918, quella definitiva, completa e riveduta è del 1923 e viene data alle stampe a Monaco di Baviera. In questa città opera da tempo l’africanista, esploratore, archeologo ed etnologo (e agente segreto del Kaiser) Leo Frobenius che nel 1922 vi fonda il Forschungsinstitut fur  Kulturmorphologie, attorno al quale si raccolgono, tra gli altri, Walter Friedrich Otto, Karl Reinhard, lo stesso Spengler, Karoly Kerényi, Franz Altheim (primo studioso del dilemma Romanzo-Decadenza e primo, grande, analista del Romanzo non come genere letterario, ma come ‘prodotto’ storico-culturale) e Adolf Ellegard Jensen. La teoria (ci si consenta: simil-vichiana) dei ‘cicli culturali’ viene elaborata dal Frobenius (1873-1938) a partire dalla fine dell’Ottocento: è infatti del 1897 la pubblicazione del volume Westafrikanische Kulturkreis e dell’anno successivo Der Ursprung der afrikanischen Kulturen. Inerente a tale dottrina è il principio di un ‘valore omogeneo della cultura’, da verificarsi non in espressioni di carattere materiale, ma in una sua immagine globale, ossia del Weltbild che essa elabora. Questi principi-guida dell’africanista teutonico vengono quindi approfonditi e analizzati in Paideuma (1921) e in Schiksalskunde im Sinne des Kulturwerdens (1932) in cui nell’elaborazione di una vera Kulturphilosophie egli cerca nessi simbolici nell’ambito di ‘forme culturali unitarie’.
Da questi dati sintetici non si evidenziano tuttavia nell’etnologo tedesco accenni specifici al tema della Cultura del Romanzo in riferimento al principio della Decadenza. Ciononostante, emergono pur sempre tracce che conducono direttamente alla sopra accennata problematica spengleriana: la ciclicità e l’organicità delle culture, lette in una sorta di irripetibile originalità ed omogeneità. Similmente a Frobenius, Spengler cerca infatti di scoprire in ciascuna cultura il suo ‘stile’, il principio originario sul quale si fonda l’insieme dei suoi valori, e con tale strumento procede all’elaborazione di una ‘morfologia della Storia mondiale’.
Spengler cerca delle costanti e quindi individua una precisa analogia tra il ‘tramonto del mondo classico’ e ‘una fase della storia mondiale che abbraccerà diversi secoli e di cui attualmente stiamo vivendo il principio’. La decadenza della Grecia antica viene individuata nel tramonto della cultura della polis, del suo mito quale principio ordinatore ed etico, e nella costituzione dei nuovi regni con le grandi città cosmopolite.
Qui Spengler enuncia quel principio di Decadenza manifestantesi nella fase di Zivilisation, che accomuna la metropoli antica a quella moderna in un’irreversibile sclerotizzazione. “Invece di un Mondo, una Città, un unico punto in cui si raccoglie l’intera vita di vaste regioni, mentre il resto isterilisce; invece di un popolo formato, legato alla sua terra, un nuovo ‘nomade’, un parassita: l’abitante delle grandi città moderne. Un uomo pratico e senza tradizioni, un uomo irreligioso, intelligente ma infecondo, profondamente avverso al contadino e alla nobiltà terriera. Ciò rappresenta un passo gigantesco verso l’inorganico, verso la fine (Spengler)”. Poi egli passa ad indicare nella cultura alessandrina l’espressione antica di tale Decadenza, allorché alla grandiosità della Tragedia classica si sostituisce il Dramma in cui predominano i caratteri, la psicologia, e si afferma una filosofia che non è altro che pura, seppur colta e raffinata, retorica.
In tale realtà, così come nella contemporanea realtà occidentale, si costituirebbe attraverso il Romanzo “una tipica letteratura da grande città” (Spengler). Ed in quest’ambito si produrrebbe anche un particolare linguaggio, quello di una koinè linguistica caratterizzate tutta la letteratura dei grandi centri cosmopoliti ottocenteschi.
Pur non approfondendo specificatamente il discorso del Romanzo, Spengler ne delinea quindi le valenze storico-culturali in quanto espressione tipica di una Zivilisation. In questo contesto, da Nietzsche a Spengler appare pertanto già ben delineato quel principio che lega la nuova creazione d’epoca ellenistica e tardo-romana ad un principio di Decadenza che viene qualificato per una sorta di sclerotizzazione, di ammasso inorganico in senso simbolico e concreto nella visione del Paesaggio Metropolitano. Ma in ciò, l’atteggiamento conclusivo non si risolve in una nostalgica lode della Tradizione e in uno sdegnoso allontanarsi dal presente, ma nel richiamo lucido ad una consapevolezza dell’attualità, alla coscienza di essere nella Zivilisation, e quindi di doversi esprimere necessariamente con i mezzi che questa offre.
Franz Altheim, che bazzica intorno al gruppo e alla collana storico-religiosa dei Frankfurter Studien (a Francoforte aveva ottenuto nel 1924 il dottorato con una tesi intitolata Die Komposition der Politik des Aristoteles), mutua da Frobenius un interesse per la Storia culturale e una chiara prospettiva relativistica che, nell’ambito della Storia antica si risolve in un abbandono del ‘centralismo romano’.
Altheim non è un lettore di romanzi, né è mosso da un interesse puramente filologico, per cui la sua ricerca si ispira più che altro ai ‘classici’, Gibbon Tocqueville, Burckhardt, Nietzsche e Spengler. Questa scelta si armonizza del resto con il tipo di domanda ch’egli si pone: non il problema di un’esatta datazione del Romanzo antico, né tantomeno di una cronologia relativa e neppure delle fonti letterarie dalle quali esso si origina, ma l’ambiente storico-culturale in cui si sviluppa ed i valori che attraverso questo si affermano. “Nessuno ha ancora compreso – scrive Altheim  - che il Romanzo ha a che fare con l’acceso dibattito sul problema della Decadenza” . Decadenza che si tinge dei colori spengleriani e della sua terminologia. Per Altheim, infatti, al culmine del processo degenerativo si pone la Welstadt quale “grande simbolo dell’informe” in cui “le masse umane vengono tra loro mescolate come dune del deserto”. Qui l’autore vede fiorire più rigoglioso il Romanzo, in una realtà ch’egli qualifica come fase di “tarda civilizzazione metropolitana”.
Come Spengler, Altheim vede l’inizio di tale fase degenerativa in epoca moderna collocarsi agli inizi del XIX secolo e considera la propria epoca pienamente coinvolta in tale processo. Ma come Spengler, o forse più chiaramente di lui, non pone la propria valutazione su base morale, ma nei termini di una ‘morfologia storica’ per cui anche la crisi va valutata nella sua pienezza e nella sua forza creatrice.
Il Romanzo è, in ultima analisi, il prodotto di tale forza, come lo è la metropoli, la società cosmopolita che la costituisce: quell’afflato che si esprime nello sradicamento borghese, in un viaggio dalla meta incerta, quale ‘evasione’ del corpo e dello spirito.
La Decandenza dell’epoca contemporanea, come il Romanzo, è il ‘nuovo modo di essere’ di un Occidente incerto e senz’anima che pone da tempo in autolesionistica discussione il suo passato e le basi della sua tradizione. E’ crisi finale di un processo storico che si fonda sulla storia e le vicissitudini di popolazioni definite dai loro stessi territori e dai loro cicli evolutivi, e che purtroppo – ma forse inevitabilmente - è sfociato nell’ammasso pietrificato delle ‘città-mondo’, delle metropoli scenario di narrazioni nuove e lontane dal vero spirito della Tradizione: segnale, forse, di una più vasta e inconoscibile “magnifica assenza di fini”.

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