domenica 29 luglio 2012

L'OPPORTUNITA' ANDALUSA (Raccolta di racconti di Alberto Bebe Rosselli)




RECENSIONE DE 'L'OPPORTUNITA' ANDALUSA'

Settimanale Venezia Sette (12/12/1999)

di Aurelio Valesi (*)

Il volume L’Opportunità Andalusa, (Lalli Editore, Siena) di Alberto Rosselli, costituisce, a nostro avviso, uno spaccato della storia degli ultimi decenni del secolo Ventesimo, nell’interpretazione psicoambientale di uno scrittore ligure dalla brillante vena surrealista, ma stranamente non ancora completamente sicuro dei propri mezzi espressivi e stilistici, in realtà notevoli. I nove racconti contenuti in questa breve raccolta di Rosselli, sono preceduti, non a caso, da alcune considerazioni di P. von den Bosch, che rendono con stringata concretezza la realtà psichica e spirituale del mondo all’indomani dell’ultimo conflitto planetario. Poiché è proprio in tale realtà gli scritti di Rosselli debbono essere inquadrati, poiché da quest’epoca hanno tratto le loro linfe di gaia e cerebrale disperazione e di sconsolato divertimento. Tra le righe dell’autore, che da buon ligure si guarda bene dall’esibire, emerge con evidenza una profonda anche se disincantata sensibilità frammista alla tradizionale tensione morale che emana la sua aspra ma tinteggiata terra di origine. Tutti gli episodi narrati risultano caratterizzati da un registro espressivo di qualità contenutistica e di ricercatezza stilistica, a tratti volutamente retrò, anche se i più rimarchevoli e riusciti, cioè “Amerigo”, “L’Opportunità andalusa”, “Bernardo di Basancourt” e “Gustavo”, sembrano – riguardo al tema - quelli maggiormente riconducibili all’esperienza esistenziale di questo non noto, ma curioso ed ‘autonomo’ narratore. Più che scrivere, Rosselli ama infatti narrare e trascinare a sé il lettore con il suono suadente, ma discreto e finanche pudico del suo piffero magico. Note gradevoli quelle di Rosselli, anche se a tratti intervallate da digressioni sonore e virtuosismi forse non necessari nell’economia di un lavoro di per sé già sufficientemente convincente.
Una sorta di fiaba psicosociologica ambientata nel Centro Storico della Lanterna è quella di “Amerigo: momento narrativo di un freddo e “genovese”surrealismo, dominato dal topo Carducci, un autentico personaggio; dal deuteragonista Amerigo, un inventore di giocattoli inutili ma geniali, e da una pattuglia di figure minori ma comunque efficacemente caratterizzate, quali la signora Totaro, la gatta Luisa e il colonnello Lupis, ma anche il cinico e pragmatico padre di Carducci o la fidanzata dell’inventore, Orsola.
Ne “L’Opportunità andalusa” (splendido titolo, per inciso), Rosselli ricrea un’estate tipica degli anni Settanta che pur nella sua specificità storica rammenta a tutti la disordinata meraviglia d’ogni giovinezza. Anche qui è presente un’atmosfera tipicamente surreale, ma questa volta più pazza, cinetica, colorata: cinematografica si direbbe. Con sempre, a fare da basso continuo, il solito pungente spirito d’osservazione, seppure come disciolto in un’aura di distratta nonchalance.
L’esordio di “Bernardo di Basancourt” è esempio efficace dello stile constatatorio con cui l’autore sottolinea il livello d’indecenza del prossimo, senza barocche lamentele, ma con una sorta di annoiata stanchezza, che non riesce a nascondere del tutto la ferita inferta alla sua sensibilità. La preoccupazione per la salvaguardia della classe (quella del comportamento, non quella politica o sociale), che si rivela indispensabile soprattutto nelle peggiori avversità economiche ed esistenziali, s’accompagna nel protagonista del racconto a una distaccata spietatezza nella descrizione dei propri opposti, gli arricchiti cafoni ansiosi d’ogni apparenza, gli ottusi, gli aridi, i ‘senza cuore’. Pure in codesta costruzione narrativa vi sono gustosissime (e amare) rappresentazioni dell’umanità notturna che s’addensa in locali squallidi e disperati (i bellissimi “caffè duri a morire”), ma affascinanti nella poetica resa espressiva.
Gustavo”, l’ultimo racconto del volume di Rosselli, si direbbe una summa esistenziale dei precedenti, oltre che il più autobiografico, per fortuna non completamente. In esso tutti i pregi dell’autore si manifestano con la massima forza. La descrizione della Genova medioevale (non quella urbana, ma quella storica) è di una vivacità e di un’energia plastica ammirevoli: un affresco poetico e realistico dove è possibile avvertire appieno il pulsare della quotidianità di quei tempi gloriosi e passati. Anche le righe dedicate al disegno urbano del capoluogo ligure sono di singolare acume, e ricche di azzeccate osservazioni storico-sociali. Quando poi il narratore vagabonda durante le ore piccole nel ventre basso della città, ha occasione di coglierne le atmosfere insieme vitalistiche e melanconiche, descrivendone gli individui strani o comuni che vi si aggirano con tratti di sintetica ma penetrante concretezza. Memorabile, a questo proposito, il dipinto che l’autore fa dell’interno di un noto locale di Via Gramsci, con i suoi avventori consueti ma mai banali; esseri squallidi, ma mai macchiette: piuttosto uomini e donne veri, d’esperienza, di aspirazioni mancate, e di pena.
Da rilevare, infine, in Rosselli la particolare capacità di saper riassumere in nomi propri le peculiarità negative estetiche, caratteriali e morali di persone, luoghi e nazioni. I coniugi Piscionet sono gli arricchiti di recente nomina e Cialtronia è una nazione a noi purtroppo ben nota. La denominazione, quanto mai appropriata, è riferita naturalmente agli ultimi decenni del nostro Paese: non certamente al suo futuro, si spera già cominciato, e soprattutto alla sua millenaria storia.
Da raccomandare al lettore, tra gli improbabili volumi della misteriosa biblioteca del personaggio Gustavo, “Il castello posteriore di Santa Teresa di Gallura”. Una vera chicca.

(*) Aurelio Valesi, genovese, poeta e traduttore di numerose opere di famosi Autori francesi del XIX e XX secolo.

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