lunedì 30 luglio 2012

TURCHIA IN EUROPA: LA POSIZIONE DEL VATICANO E DEGLI INTELLETTUALI CATTOLICI


 

TURCHIA IN EUROPA: LA POSIZIONE DEL VATICANO E DEGLI INTELLETTUALI CATTOLICI

 di Alberto Rosselli

Fin dal lontano 2002, sul problema dell’ingresso della Turchia nell’Unione, il Vaticano aveva cercato di astenersi da prese di posizione per così dire “irrevocabili”, anche se nel luglio e nel settembre di quell’anno, il cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano, aveva avuto modo di esporre le sue opinioni e perplessità (che, in forza del suo alto incarico, si identificavano di fatto con quelle della Santa Sede) attraverso due memorandum inviati ai capi di governo dei quindici paesi a quel tempo membri dell’UE. In entrambe le note, Sodano poneva come condizione vincolante all’ingresso della Turchia in Europa il rispetto della libertà religiosa e dei diritti umani, facendo osservare che nei fatti il governo di Ankara era ancora molto distante dal volere ottemperare a tale indicazione.
Venuto a conoscenza dei memorandum, nel dicembre 2002 il ministro degli Esteri turco volle assicurare il Vaticano che ogni sforzo sarebbe stato comunque compiuto dal governo turco in quella direzione. E il 21 giugno 2004, il primo ministro Erdogan ribadì tale assicurazione ricevendo per la prima volta, ad Ankara, i vescovi cattolici di Turchia. Successivamente e in più occasioni, il cardinale Sodano riaffermò nuovamente la posizione sostanzialmente neutrale (o meglio, attendista) della Santa Sede: atteggiamento poi “scavalcato” dall’arcivescovo Giovanni Lajolo. Questi, infatti, dichiarò a chiare lettere che “il rispetto dei diritti umani e, primo fra tutti, della libertà religiosa” da parte di Ankara rimaneva per la Santa Sede la condizione prioritaria, auspicando che “in un futuro negoziato gli interessi economici e strategici non spingessero al ribasso la valutazione di tale priorità”. Il 15 dicembre 2004 nel votare a larga maggioranza l’avvio dei negoziati all’ammissione della Turchia nell’UE, il parlamento europeo bocciò però un emendamento che sollecitava Ankara a conferire al più presto personalità giuridica alle chiese cristiane e a sopprimere il Dipartimento degli Affari religiosi, l’organo di stato preposto al controllo del culto. Dichiarazione, questa, che non fu ben accolta dal Vaticano. Commentando l’episodio, Avvenire, quotidiano della conferenza episcopale italiana, lamentò “il manifestarsi nella maggioranza degli eurodeputati di un qualche pregiudizio anticristiano”, mettendo in guardia circa l’impossibilità “di condurre un’efficace trattativa con la Turchia” nel caso l’Europa avesse continuato ad abdicare a singhiozzo, secondo le proprie idiosincrasie, all’identità europea”.

Sempre per quanto concerne la posizione della Chiesa cattolica, tra i contrari all’ingresso della Turchia vi era un teologo estremamente autorevole, destinato a diventare il futuro papa Benedetto XVI: il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ratzinger ebbe modo di esprimere la sua ferma seppur garbata opposizione in due occasioni: nel corso di un’intervista concessa a Le Figaro Magazine e nell’ambito di un convegno degli operatori pastorali della diocesi di Velletri, di cui era titolare. Il contenuto di questo suo intervento fu riportato dal quotidiano cattolico di Lugano Il Giornale del Popolo. In entrambi i casi, il futuro pontefice precisò però di esprimere un’opinione personale. A Le Figaro Magazine, Ratzinger disse: “L’Europa è un continente culturale e non geografico. È la sua cultura che le dona un’identità comune. Le radici che hanno permesso la formazione di questo continente sono quelle del cristianesimo. (...) In questo senso, nel corso della storia, la Turchia ha sempre rappresentato un altro “mondo”, in permanente contrasto con l’Europa. (…) I turchi hanno combattuto contro l’impero bizantino, hanno invaso i Balcani e hanno minacciato perfino Vienna. (…) Sarebbe quindi un errore identificare i due continenti. Sarebbe una perdita la scomparsa di una cultura in cambio di benefici economici. La Turchia, che si considera uno stato laico, ma fondato sull’islam, potrebbe – suggerì Ratzinger - tentare di dare vita, assieme ad altri paesi mediorientali, ad un nuovo “continente”, diventando così una nazione protagonista, in possesso di una chiara identità, ma in comunione con i grandi valori umanisti che noi tutti dovremmo riconoscere. Questa idea, che non contrasterebbe forme di associazione e di collaborazione stretta e amichevole con l’Europa, permetterebbe il sorgere di una forza comune in opposizione a qualsiasi tipo di “fondamentalismo’”. Concetti, questi, poi ribaditi nel successivo discorso di Velletri. “Storicamente e culturalmente – ripeté il cardinale - la Turchia ha poco da spartire con l’Europa: ragione per cui sarebbe un errore grande inglobarla nell’Unione. Meglio sarebbe se la Turchia facesse da nazione-ponte tra Europa e mondo arabo, oppure formasse un suo “continente culturale” insieme con esso. L’Europa non è un concetto geografico ma culturale, formatosi attraverso un percorso storico, anche conflittuale, imperniato sulla fede cristiana, ed è un fatto che l’impero ottomano si sia sempre contrapposto all’Europa. Anche se Kemal Atatürk negli anni Venti ha costruito una Turchia laica, essa resta il nucleo dell’antico impero ottomano islamico”. (L’Europa è cristiana: ma nel suo cielo brilla la mezzaluna turca, di Sandro Magister, 15.10.2004)

All’epoca in cui era ministro degli Esteri della Santa Sede, l’arcivescovo Jean-Louis Tauran aveva anch’egli formulato serie riserve sull’ingresso nell’Unione della Turchia. In un’intervista del 25 maggio 2003, rilasciata al Corriere della Sera, Tauran aveva suggerito di “dare la precedenza, in materia di integrazione europea, a paesi come la Moldavia e l’Ucraina, entrambi europei e cristiani”. Posizione, quella di Tauran, alla quale, sempre nel maggio del 2003, si associò il cardinale Camillo Ruini, vicario del papa per la diocesi di Roma e presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Nella conferenza stampa a conclusione di un’assemblea della CEI, Ruini aveva invitato a “ponderare bene” la questione, perché da un lato era da valutare “l’interesse dei cristiani di Turchia” ad entrare in Europa, ma dall’altro non si poteva ignorare che “la Turchia, pur avendo una costituzione laica, era di fatto una nazione fortemente islamica, molto popolosa e con una dinamica demografica molto accentuata”. In questi ultimi tempi, l’opinione del cardinale Ruini sembra essersi evoluta in termini più favorevoli nei confronti dell’ammissione della Turchia, stando almeno a quanto riportato dal quotidiano Avvenire e dall’Agenzia SIR (entrambi della CEI). Un cardinale che di recente si è espresso invece a sostegno della Turchia è il gesuita Roberto Tucci, organizzatore dei viaggi all’estero di Giovanni Paolo II. Tucci è infatti dell’idea che la Turchia sia un paese islamico autenticamente “moderato” e quindi predisposto, nonostante la sua islamicità, ad essere inserito, seppure a determinate condizioni, in Europa.
Decisamente favorevoli all’ingresso della Turchia nell’UE sono i vescovi e la minuscola comunità cattolica di Anatolia. Il 21 giugno 2004, per la prima volta nella storia, i vescovi furono ricevuti ad Ankara dal primo ministro Erdoğan al quale essi espressero il loro sostegno e insieme la richiesta di un riconoscimento giuridico anche per la chiesa cattolica (il governo turco aveva già deliberato un simile provvedimento sia per gli ebrei che per gli armeni e i greci ortodossi). In due successive interviste rilasciate all’agenzia SIR, il portavoce della Conferenza episcopale turca, monsignor Georges Marovitch, rammentò che “tra i paesi islamici, la Turchia che per più tempo ha potuto sperimentare il fenomeno della coabitazione tra differenti religioni. Questo paese rappresenta inoltre il punto di congiunzione tra Occidente e Oriente, un ponte che potrebbe facilitare le relazioni tra islam e cristianesimo. Senza considerare che in Europa vivono già 15 milioni di mussulmani dei quali ben cinque milioni sono turchi. Negare l’ingresso alla Turchia – dichiarò Marovitch - significherebbe correre il rischio di fare cadere questo paese nelle mani degli integralisti e fondamentalisti islamici”. Parimenti favorevole ad una Turchia inserita nell’UE si sono dichiarati il patriarcato ortodosso di Costantinopoli e le chiese cristiane di tutte le confessioni riunite nella KEK, la Conferenza delle Chiese Europee. Va comunque notato che, nell’ambito del variegato mondo delle comunità cristiane non cattoliche, esistono anche fermi oppositori, come ad esempio la potente chiesa russa ortodossa che concorda in tutto, o quasi, con il pensiero di gran parte dei vescovi cattolici. Anzi, si spinge ancora più in là. Per il patriarcato russo, infatti, un’eventuale ammissione della Turchia nell’UE “indurrebbe, inevitabilmente, anche gli altri stati nordafricani, e mussulmani, che si affacciano sul Mediterraneo a reclamare un’identità europea. Cosa del tutto insensata”.

Nessun commento:

Posta un commento