domenica 29 luglio 2012

SIRIA E TURCHIA AI FERRI CORTI



SIRIA E TURCHIA AI FERRI CORTI

di Alberto Rosselli


L’abbattimento, avvenuto il 22 giugno scorso, del F-4 Phantom turco decollato dalla base anatolica di Erhac, ha contribuito ad accrescere una tensione già in atto da tempo tra Siria e Turchia: due Stati che, pur condividendo alcune vedute di politica internazionale e transnazionale (l’idiosincrasia nei confronti di Israele e l’atteggiamento schizofrenico nei confronti del popolo curdo, per nulla amato da entrambe i Paesi, ma ‘adoperato’), stentano in questi ultimi mesi a trovare intese. Pur avendo dichiarato di “deplorare al cento per cento l’azione della contraerea siriana” che, a parer suo, avrebbe adoperato un corridoio aereo già utilizzato da aviogetti israeliani (“Sarei stato felice se il jet abbattuto fosse appartenuto all’aviazione di Te Aviv”, il pubblico rammarico del leader di Damasco nasconde un’imbarazzate realtà – quella relativa ai pessimi rapporti esistenti tra i due Paesi – ed una tensione riconducibile ad irrisolti ed ormai vecchi contenziosi, in parte occultati da liti recenti. Come è noto, a partire dal marzo 2001 i rapporti diplomatici tra Ankara e Damasco si sono deteriorati in seguito alla repressione decisa dal regime baathista di Bashar al-Assad contro i suoi oppositori interni: repressione che, stando alle stime delle Nazioni Unite, ha provocato la morte di quasi 16.500 individui, molti dei quali appartenenti all’Esercito Siriano Libero che gode delle simpatie ‘interessate’ del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. Ricordiamo che da tempo la Turchia ospita molti rifugiati siriani (compresi militari disertori) avversi al dittatore Assad, deciso a “normalizzare” le province ribelli, in parte abitate da elementi curdi facenti parte di una minoranza relativa che conta ben un milione e mezzo di individui, gran parte dei quali presenti nella regione nord-orientale di al-Hasake. Nel tentativo di ‘neutralizzare’ la componente curda presente in Turchia (ma anche in Siria), lo scorso mese di giugno Erdogan ha ospitato ad Istanbul il Consiglio Nazionale Siriano (Snc) - una delle principali organizzazioni di opposizione - che ha eletto il suo nuovo leader, il curdo Abdul-Basset Sayda, interessato a cooptare altri soggetti del variegato mosaico curdo-siriano (ricordiamo che ben 11 partiti curdi, tra cui il Pyd, sezione siriana del Pkk di Abdullah Öcalan, considerato fuori legge da Ankara, non hanno aderito al Consiglio Nazionale Siriano) in un Snc che sembra fatto su misura per i progetti di Erdogan. Il premier punterebbe ad una ‘pacificazione’ della componente curda anatolica, ma nel contempo non negherebbe il sostegno, in funzione anti siriana, a quella posta sotto la giurisdizione di Damasco: giochino che, ovviamente, Assad non gradisce affatto. Non ha caso, sembra che Damasco stia lavorando, a sua volta, per minare la solidità del Snc, appoggiando (nel 1997, Damasco diede perfino asilo ad Ocalan, ricercato dalla polizia turca) elementi del Pkk dichiaratamente ostili alla Turchia in quanto decisi ad ottenere ad un’autonomia totale del Kurdistan anatolico: progetto, quello siriano, che vanificherebbe i piani di Erdogan e ne indebolirebbe il prestigio interno. Ma le gravi ‘incomprensioni’ tra Siria e Turchia non si limitano soltanto alle già complesse questioni di cui si è detto. Rammentiamo che tra Damasco ed Ankara rimango, infatti, irrisolte alle due spinose questioni geopolitiche che fanno da zoccolo all’attuale crisi: il contenzioso di Hatay, regione siriana che nel 1939 passò alla Turchia in seguito ad un referendum mai riconosciuto da Damasco, e lo sfruttamento dei fiumi Tigri ed Eufrate che Ankara ha di fatto opzionato a suo esclusivo vantaggio (e a detrimento dei diritti idrici di Siria e Irak) con la realizzazione del mega Progetto del  Sud-Est dell'Anatolia (GAP) destinatoa ‘trattenere’, attraverso le dighe di Birecik e Karkamis, sull'Eufrate, ed altre tre (Kralkizi, Dicle e Batman) sul Tigri, gran parte dell’oro blu che un tempo defluiva verso la Mezzaluna fertile.

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