lunedì 30 luglio 2012

  

MA SIAMO PROPRIO SICURI CHE IL POPOLO TURCO ASPIRA AD ENTRARE IN EUROPA? 

 di Alberto Rosselli

Premessa d'obbligo. Cerchiamo di valutare le reali intenzioni del popolo anatolico nei confronti della questione (o “opportunità”) Europa. “In Turchia – spiega Fabio Salomoni - la scena politica presenta un quadro abbastanza netto. Da un lato abbiamo l’entusiasmo del governo Erdoğan e del suo partito che hanno scommesso sulla ruota europea tutta quanta la loro credibilità ed il loro futuro politico, mentre dall’altro ci troviamo in presenza di un’opposizione, rappresentata dal partito CHP (Cumhuriyet Halk Partisi, Partito Repubblicano del Popolo) - dilaniato da feroci lotte intestine ed incapace di costituire una visione politica alternativa - che accusa Erdoğan di non essere stato in grado di difendere gli interessi del Paese”.
Più complesse e frastagliate sono invece le posizioni sulle quali si attesta l’opinione pubblica turca che appare attraversata da sentimenti e reazioni assai più complesse e spesso contraddittorie. Scongiurato il pericolo di soluzioni alternative, come quella di uno “statuto speciale”, ventilate da molti ambienti politici europei, la popolazione turca manifesta oggi un generale senso di logoramento generato dal carattere martellante assunto dalla “campagna europea” che, quantomeno negli ultimi due anni, ha monopolizzato l’attenzione dei mass media ed occupato buona parte dell’agenda politica. Il dibattito sull’Europa ha di fatto oscurato molti gravi problemi che attanagliano la vita quotidiana di gran parte del Paese: primi fra tutti la disoccupazione e la povertà. L’effettivo ritardo economico del Paese, il suo crescente peso demografico e la sua delicata posizione geografica hanno destato non poche perplessità. In generale ci si chiede perché tutte queste delicate tematiche, ben presenti nell’opinione pubblica turca, siano state discusse dagli Europei solamente ora e non, ad esempio, nel 1999 a Helsinki, quando l’UE decise di accettare la candidatura turca subordinandola al rispetto dei cosiddetti “criteri di Copenaghen”. La sensazione è che all’epoca l’Unione non avesse serie intenzioni di combinare il matrimonio con la Turchia e non credesse nemmeno nelle capacità del paese di realizzare le riforme richieste.
Diffidenza nei confronti della politica del governo di Ankara e della Comunità Europea ma anche consapevolezza dell’importanza del grande passo che il paese si appresta - o spera di riuscire - a compiere, sono dunque le note che caratterizzano l’atteggiamento di buona parte dell’opinione pubblica turca. Incertezza, dubbi, ma anche necessità economiche e “desiderio di progresso” sembrano contraddistinguere le opinioni che emergono soprattutto dai ceti medi o emergenti moderati e laicisti del paese che, tuttavia, non rappresentano la maggioranza assoluta dell’elettorato. Di parere nettamente contrario, o per lo meno pervasi da scetticismo, appaiono ancora larghi strati della popolazione, soprattutto quelli fortemente legati agli ideali nazionalisti e al mondo religioso islamico. Comunque sia, fare oggi stime esatte o avanzare ipotesi circa le reali intenzioni e gli autentici desideri (o speranze) del popolo anatolico appare ancora esercizio alquanto arduo. Senza contare che il cambiamento della situazione politica ed economica mondiale, l’evolversi dei rapporti tra Turchia e Stati Uniti e le incognite legate alle questioni mediorientali e al fattore terrorismo internazionale, potrebbero giocare un ruolo determinante nel modificare le opinioni di un popolo, quello turco, sostanzialmente diviso su non pochi temi.
Un discorso a parte va fatto per gli appartenenti alla folta comunità turca che risiede in Germania. Secondo l’esponente del Partito Verde, Cem Özdemir “una buona parte dei cittadini turchi sarebbe favorevole all’ingresso di Ankara nel consesso unionista, anche se esistono gruppi nazionalisti (ma anche raggruppamenti dell’area moderata) che avversano questa ipotesi, poiché ritengono che la madrepatria stia concedendo troppo all’Europa in cambio di semplici promesse”. Secondo Cem Özdemir, su un tema delicato come quello dell’adesione della Turchia “sarebbe comunque giusto che fossero i popoli e non i governi europei ad esprimersi, magari con un referendum. Detto questo, ritengo paradossale, però, che Malta, da sola, possa decidere attraverso un sistema di questo tipo se accettare o meno la Turchia”. Circa poi il non eccelso livello di integrazione della minoranza turca in Germania, Cem Özdemir ritiene che le responsabilità siano da suddividersi equamente tra turchi e tedeschi. “Una delle ragioni della scarsa “permeabilità” sociale da parte della società tedesca sta nel sistema scolastico. D’altro canto sono stati gli stessi immigrati a non favorire la creazione di strutture che li potessero integrare meglio nella società tedesca. Oggi però ci sono molti segnali che indicano un generale miglioramento della situazione, dalle condizioni delle donne ai rapporti culturali. Il nostro obiettivo deve essere una società in cui gli immigrati siano equamente rappresentati in tutti gli strati sociali, non perché immigrati ma perché persone uguali a tutte le altre. Per i turchi-tedeschi – conclude Cem Özdemir - l’adesione porterebbe alcuni vantaggi pratici: il diritto di voto alle elezioni comunali ed una serie di norme sull’espatrio meno restrittive di quelle attualmente in vigore. Senza considerare che i non pochi immigrati turchi della prima generazione che vorrebbero ritornare in patria lo potrebbero fare con grande facilità, senza tuttavia dovere rinunciare ai loro legami con la Germania”.

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