domenica 29 luglio 2012

IL DRAMMATICO ENIGMA SIRIANO


 
IL DRAMMATICO ENIGMA SIRIANO

di Alberto Rosselli

La Siria è in fiamme e dal Paese mediorientale sconvolto dalla ribellione antigovernativa, è iniziato da tempo l’esodo dei profughi verso la Turchia. Sono già oltre 2.900, secondo i resoconti dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU, i profughi siriani espatriati in Anatolia meridionale e fatti accampare in buona percentuale nella tendopoli di Yayladagi (a circa 10 chilometri dal confine). Molti dei profughi erano in fuga da Jirs al-Shughour (cittadina siriana ubicata nella zona nord-occidentale), dove nelle settimane scorse si sono verificati violenti scontri nel corso dei quali hanno perso la vita 125 soldati dei reparti di sicurezza impegnati contro i ribelli nel tentativo di riprendere il controllo del centro. Elevate, ma non esattamente quantificabili, sono state le perdite tra la popolazione civile e i manifestanti. L’accoglienza offerta da Ankara agli scampati ha provocato un inevitabile raffreddamento diplomatico tra Turchia e Siria, Paesi tra i quali, almeno fino a poco tempo fa, intercorrevano buoni rapporti, derivanti soprattutto dall’inasprimento delle relazioni tra lo Stato anatolico e Israele, nemico storico della Siria, anche per l’irrisolta questione del Golan. L’8 giugno scorso, il Primo ministro turco Recep Tayyp Erdogan ha dichiarato a chiare lettere che la Turchia “non chiuderà mai le sue porte” davanti ai fuggitivi, e ha esortato il presidente Bashar al-Assad a “cambiare la sua attitudine nei confronti dei civili”. Nel campo di Yayladagi squadre di soccorso della mezzaluna hanno fornito assistenza ai fuggitivi, trasferendo i molti feriti da arma da fuoco presso l’ospedale di Antakya. A Jirs al-Shughour, teatro di violenti scontri tra ribelli e polizia siriana, sembra che una parte delle forze di sicurezza si sarebbe rifiutata di aprire il fuoco sui civili, mentre l’esercito avrebbe invece sparato su di loro: ma si tratta di sole voci, in quanto il regime di Assad non ha consentito ai giornalisti stranieri di sbarcare in Siria. La permanente e sostanziale scarsità di notizie circa la rivolta siriana è stata resa ancora più acuta dalle iniziative prese da Ankara. A Yayladagi, la polizia turca di confine continua ad impedire ai reporter provenienti dalla capitale di entrare nel campo profughi e di intervistare gli scampati. In questi ultimi giorni - stando alle notizie governative e a quelle diramate da ‘Mezzaluna Rossa’ - “il flusso degli sfollati siriani sembra avere assunto le sembianze di un esodo di massa, sia in direzione della Turchia che del Libano, dove si sono già rifugiati 6.000 profughi”, mettendo in crisi la struttura di Yayladagi, che non è in grado di accogliere più di 5.000 persone. Da parte sua, alcune settimane fa, il presidente siriano Assad – preoccupato per l’andamento della sommossa popolare che ha coinvolto oltre Jirs al-Shughour anche le località di Deraa, Rastan e Talbisa - avrebbe offerto l’amnistia a membri della setta dei Fratelli Musulmani (organizzazione considerata fuorilegge), e alcune concessioni circa la libertà di espressione e contestazione pacifica che, tuttavia, l’opposizione al regime (la quale ha denunciato l’uccisione, nell’arco di un mese e mezzo, di oltre 15.000 manifestanti, e l’arresto arbitrario di altri 13.000) avrebbe giudicato come del tutto insufficienti e tardive. Come ha affermato Abdel Razak Eid, attivista del gruppo della “Dichiarazione di Damasco”, “la mossa del leader Assad starebbe a dimostrare tutta la debolezza di un regime prossimo al crollo ed ormai isolato, sia da molti Paesi musulmani che dall’Occidente e dagli Stati Uniti”. Come sta accadendo in Libia e nello Yemen, Paesi anch’essi in stato di collasso o fibrillazione, il futuro della Siria rimane un enigma oscuro. Ci si domanda, infatti, quali forze politiche – in caso di caduta di questi regimi – prenderanno le redini dei governi ed in quale modo intenderanno’riformare’ i Paesi di riferimento. Si può azzardare e temere, a questo proposito e sulla scorta delle varie ribellioni che hanno sconvolto diversi stati musulmani nel secondo dopoguerra (come Egitto, Libia, Irak, Iran e Sudan), che la ‘medicina’ possa rivelarsi alla fine peggiore della ‘malattia’. Staremo a vedere.


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