domenica 29 luglio 2012




“LETTERE DI CORSA” 

di Alberto Rosselli 

Come è noto, i corsari erano quei comandanti (ufficiali regolari di marina o semplici pirati) che, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, erano autorizzati dai rispettivi sovrani a svolgere operazioni “legalizzate”, ma sotto falsa bandiera, ai danni di imbarcazioni militari e soprattutto mercantili appartenenti a potenze concorrenti, nemiche e addirittura neutrali. Tale attività era da questi comandanti svolta in forza di lettere di corsa (o di marca): vere e proprie patenti che venivano rilasciate ai corsari impegnati in questa pericolosa ma lucrosa attività che, almeno nella sostanza, non differiva affatto da quella svolta dagli altri predoni degli Oceani. Nella sostanza, le lettere di marca erano una sorta di licenza che di volta in volta i re concedevano e che assicuravano notevoli vantaggi e protezioni ai corsari. Questi ultimi, tuttavia, al termine delle loro scorrerie, erano però costretti a versare buona parte del bottino nelle casse dei propri coronati protettori. Per la cronaca, nel XIII secolo furono i sovrani inglesi, e nella fattispecie Enrico III d'Inghilterra (1216-1272), ad emettere le prime lettere di marca e a dare il via ad una prassi che in seguito verrà imitata ed ampliata anche dai re e da alcune “città marinare” francesi. Nel 1581, dovendo incrementare le entrate dello stato, la regina Elisabetta I d’Inghilterra (1558-1603), diede un notevole slancio alla cosiddetta “guerra di corsa” e al conseguente rilascio di lettere di marca a diversi comandanti, primo fra cui Francis Drake (1540-1596): ufficiale abile, coraggioso, senza scrupoli e di conseguenza molto apprezzato dalla volitiva ed algida sovrana che arrivò ben presto a nominarlo cavaliere e ad appellarlo affettuosamente “il mio pirata”. Un amore, quello della sovrana, che ebbe modo di sbocciare soprattutto in virtù del fatto che Drake seppe assicurare alla corona non soltanto un bottino di oltre 200.000 sterline, ma anche il controllo della quasi totalità delle rotte battute dai galeoni dell’odiata Spagna. Un altro noto corsaro patentato fu Walter Raleigh (1552-1618) che, oltre a diventare uno degli uomini più ricchi e stimati d’Inghilterra, assicurò anch’egli al suo paese grandi fortune e vasti possedimenti d’oltre mare, sottraendoli al controllo iberico e francese, imitato da George Clifford e dal corsaro-esploratore Martin Frobisher. A partire dalla metà del XVII secolo, sia i corsari inglesi sia quelli francesi godettero di un sempre più esteso appoggio da parte dei rispettivi stati quasi sempre in lotta tra di loro o impegnati nell’azzannare le flotte mercantili spagnole che dal Nuovo Mondo recavano in quello Vecchio notevoli quantità di argento e oro. E fu proprio in questo periodo che la Francia, o meglio la Bretagna, iniziò a sfornare una nuova stirpe di grandi predatori. Nel 1695, dopo essere riuscito a catturare tre navi della Compagnia Inglese delle Indie Orientali, il corsaro francese Renè Duguay-Trouin (1673-1736) assurse agli onori della cronaca, venendo inviato a corte da Luigi XIV: riconoscimento più che meritato dal momento che, nel corso della sua ultraventennale carriera, Trouin riuscì a catturare 16 vascelli da guerra e qualcosa come 300 bastimenti da carico, accumulando per sé e per la corona un capitale a dire poco ingente. Nel XVII secolo, i francesi battezzarono Saint-Malo “prima città corsara d’Occidente”, poiché questo piccolo borgo, grazie proprio allo sviluppo dell’attività di corsa, era stato capace di trasformarsi in un attivo e ricchissimo porto, affollato di armatori, finanzieri, assicuratori, fornitori di bordo, mercanti e artigiani e da un vasto indotto. Va ricordato che, contrariamente a quanto si possa pensare, la pirateria francese vantava origini ben più antiche rispetto a quella inglese. Essa, infatti, era nata nel lontano IX secolo proprio in Bretagna quando i primi piccoli armatori locali, costretti ad allestire davi da guerra per difendere i propri vascelli da carico dai predoni scandinavi, di necessità impararono a fare virtù incominciando a dedicarsi anch’essi prima alla pirateria e poi alla guerra di corsa, soprattutto ai danni di navi inglesi e spagnole. Nel 1693, per cercare di eliminare questo pericoloso "nido di vespe" (così gli inglesi erano soliti chiamare la città di Saint-Malo), la flotta britannica arrivò addirittura a progettare la completa distruzione della città-corsara bretone, prima bombardandola per settimane e poi scagliando contro il suo approdo affollato di legni un “brulotto” di 26 metri con a bordo 100 tonnellate di polvere nera. Operazione che tuttavia fallì a causa del vento e delle correnti contrari, dando la possibilità al borgo marinaro di proseguire nella sua attività, sfornando nuovi, valenti predoni, come Jean Bart (1651-1702) e Robert Surcouf (1773-1827). Tra il XVI e il XVIII secolo, l’industria corsara di Saint-Malo – ampiamente sostenuta dalle locali istituzioni - divenne talmente redditizia da indurre perfino il vescovo della città a benedire la “course” e ad investirvi parecchio denaro. Senza considerare che lo stesso Luigi XIV incominciò ad avvalersi dei corsari bretoni - ai quali rilasciava a raffica regolari patenti di corsa - quali principali “principali finanziatori privati della politica internazionale e interna regia”. Per tutto il XVIII secolo, l’attività corsara, sia anglosassone che francese, conobbe un ampio sviluppo ed interessò praticamente tutti i mari del globo, fino a quando verso la metà del XIX secolo essa iniziò scemare anche in virtù di nuovi accordi stipulati tra le grandi potenze marittime dell’epoca (ossessionate dagli alti costi delle polizze assicurative) e ormai propense a sfidarsi nella conquista di nuovi mercati non più attraverso la pirateria “su commissione”, ma mediante una più conveniente e soprattutto meno onerosa spartizione dei possedimenti coloniali e delle zone di influenza commerciale.

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